Blog NET NEUTRALITY – Lawrence Ferlinghetti, l’urlo limbico

L’incontenibile libraio/poeta non è l’ultimo beat ad andarsene, per due motivi: non è beat, anche se ha rappresentato il cuore beat, e soprattutto non è l’ultimo…

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Chissà cosa pensava dei fatidici distributori automatici di poesia, simili a quelle macchinette erogatrici di caramelle, sigarette e portachiavi all’interno di piccole sfere di plastica? Qualche anno fa una libreria indipendente di Brooklyn ebbe questa idea, con il ricavato devoluto in beneficenza: brevi componimenti, decorati ad acquerelli, per un quarto di dollaro e un giro di manovella. Poesia di strada, per strada, più o meno. Più o meno, perché magari così si può confondere Dante con Topolino, come è capitato pochi giorni fa al deputato leghista Rossano Sasso: “Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto”. Più o meno, perché quelle piccole sfere di plastica sono pure “rifiuti” della poesia, ma tant’è, quell’ingegnere lituano caduto fortuitamente da una nave cargo nell’oceano Pacifico e rimasto per 14 ore aggrappato ad una piccola boa da pesca abbandonata, non si sarebbe salvato se non ci fosse stato il fatidico rifiuto.

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Oggi ci sono molti più poeti che lettori, questo avrebbe pensato probabilmente, Lawrence Ferlnghetti, di padre bresciano, che è andato via a 101 anni, quasi 102. Nato a New York ma di San Francisco, il centro nevralgico della Beat Generetion, città antitetica a New York, lontana dall’accademia e dalla corsa all’oro, anche se oggi non è più così. Oggi però ci trovi ancora la sua creatura, la libreria City Lights, luogo magico e ineguagliabile di scoperte, incontri, scontri, convergenze, divergenze politiche, sociali, culturali. Lawrence Ferlinghetti non è l’ultimo beat ad andarsene, per due motivi: non è beat, anche se ha rappresentato il cuore beat, e soprattutto non è l’ultimo. Non è stato Beat perché il suo pensiero, la sua opera onnivora non consente tali categorizzazioni, non è stato beat perché ha avuto la forza di rinnovarsi senza sosta, attraversando tutte le espressioni artistiche senza mai perdere il forte legame con la tradizione culturale ed intellettuale europea. Ecco, allora servita la poesia come arte insurrezionale: segnali di fumo attraverso le fiamme, il Polo Nord non è più dov’era una volta. Il destino manifesto non è più manifesto. La civiltà si autodistrugge, la nemesi bussa alla porta. A cosa servono i poeti? A cosa serve la poesia?

Lo stato del mondo chiede che la poesia lo salvi. Se vuoi essere un poeta crea opere capaci di rispondere alla sfida di tempi apocalittici, anche se ti fa sembrare apocalittico. Conquistare i conquistatori con la parola. Se vuoi fare il poeta scrivi giornali viventi, sii inviato dallo spazio che manda servizi ad un redattore supremo che crede nel dire tutto e ha scarsa tolleranza per le idiozie. Se vuoi essere poeta sperimenta con ogni sorta di poetica la creazione di una voce limbica, sottotraccia, la voce primigenia. Se ti chiami poeta non startene seduto li. Non basta guardare dalla finestra per le tue contemplazioni e componimenti. La poesia non è un’occupazione sedentaria, bisogna alzarsi in piedi e farsi sentire da tutti. Con visione grandangolare, ogni sguardo uno specchio del mondo, esprimendo la vasta chiarezza del mondo. Prestare la voce a tutti. Improvvisazione di un assolo jazz, parole che si rincorrono e ubriacano, poesia che si fa grafico della coscienza espansa, poesia che smaschera ogni bugia. Poesia, occhio fotografico senza otturatore, fisso su due sentieri che divergono in un fitto bosco e le parole rinascono all’ombra della lampada della conoscenza. Perché la poesia viene prima della scrittura, sbatte come una falena contro la finestra dell’accademia, sperando di arrivare alla luce. La poesia è i buio dentro al tunnel.

Ferlinghetti ha cantato l’assurdità della morte e ogni volta che si esibiva sopra la testa del pubblico, faceva l’acrobata che si arrampicava su per le rime, lungo un filo altissimo che lui stesso tendeva. Superrealista che coglieva per forza la verità comune prima di progredire di una strofa o di un passo. Poesia calata nella strada, seguendo Jacques Prévert e il turbine di una seduta jazz e declamazioni da urlo. Nel suo santuario di San Francisco, la City Lights Bookstore, si cerca la purezza primigenia, non attraverso esperimenti raffinati, archeologici, ma liberamente accettando la condizione del canto. Umanesimo radicale dal tono scanzonato, ironico, dissacratorio, incline al discorsivo e sedotto dalla musica di rottura, il jazz, musica di rottura delle convezioni sociali, rottura degli stilemi di genere, musica del cambiamento, inafferrabile e chimerico.
Lawrence Ferlinghetti, tra i più inafferrabili e ineguagliabili “facilitatori” socio-politico-culturali del Novecento e oltre, libraio e poeta, affacciato costantemente ad una finestra altezza strada, pronto a scavalcarla, e farne dell’esterno un interno, fagocitando corpi, desideri e volti, come il Le Corbusier della parola. Va dove si crea il mondo, perché “il mondo è un bel posto per esserci nati, se non vi importa che la felicità non sia sempre così divertente, se non v’importa un po’ d’inferno una volta tanto proprio quando tutto va bene perché anche in paradiso mica cantano sempre…”.

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