Collateral Beauty, di David Frankel

Il legame tra Smith e Frankel, un attore disposto a tutto e un regista pronto a esaltarlo diventa il salvagente di una pellicola che non prende una direzione decisa.

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La carriera di Will Smith, dopo gli strepitosi successi commerciali dello scorso decennio, ha subito molti attacchi, costringendo l’attore americano a mettere da parte le proprie certezze professionali e cercare nuove strade. E’ evidente che a Smith, più di ritrovare la propria posizione di star sbanca-box office, prema il bisogno di confermare (o meglio raggiungere) una solida e riconosciuta dimensione recitativa, in una parabola che sogna di emulare quella gloriosa di Matthew McConaughey. Dopo i tentativi dell’antieroe scorretto in Suicide Squad e del cerebrale medico in Zona d’ombra, l’odissea da attore in cerca d’autore ha portato l’ex principe di Bel-Air a incontrare la strada di David Frankel in questo Collateral Beauty. Un esempio interessante di come per Will Smith (ricordiamolo, il protagonista del capolavoro di Michael Mann Alì) l’idea di un rilancio nel cinema d’impegno sia esclusivamente riassumibile in opere dall’emotività esasperata, intrise da una morale, più o meno spirituale, patinata.

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edward norton e kate winslet in collateral beautyDa questo punto di vista, Collateral Beauty chiude definitivamente, dopo una decina di anni, la trilogia “delle lacrime” nata con La ricerca della felicità e continuata con lo sfortunato Sette anime. Il film di Frankel, infatti, si colloca, almeno concettualmente, sulla scia dei due film di Muccino (al regista romano sarà stata proposta la regia?), costruendo intorno al protagonista un personaggio di una fragilità perfetta, un giocattolo utile per sfogare i propri desideri di “alta” recitazione. L’attore prova a sostenere sulle proprie spalle il peso del lavoro di Frankel, mostrando un coraggio coinvolgente. Il legame tra Smith e Frankel, la will smith keira knightley collateral beautycomplicità tra un attore disposto a mettersi in gioco e un regista pronto a esaltarlo diventa cosi l’unico, efficace, salvagente di una pellicola che, affannata a inseguire il messaggio più edificante possibile, non prende mai una direzione decisa. Nonostante i colpi di scena spiritual e un cast troppo ricco di attori in cerca di una seconda possibilità (Edward Norton, Keira Knightley), il problema principale di Collateral Beauty si trova nell’ansia di prestazione della storia. Una vicenda che, pur sottolineando il dolore che pervade la vita di ognuno di noi (non serve affrontare il peggiore dei lutti per lambire la disperazione più nera), non ha la forza di smarcarsi dagli ingranaggi del meccanismo narrativo per vivere della propria emotiva ispirazione.  

 

 

Titolo originale: id.
Regia: David Frankel
Interpreti: Will Smith, Naomie Harris, Edward Norton, Kate Winslet, Michael 
Peña, Keira Knightley, Helen Mirren

Distribuzione: Warner Bros
Durata: 97′
Origine: Usa, 2016

 

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    4 commenti

    • scusami, mi puoi spiegare cosa intendi con “non ha la forza di smarcarsi dagli ingranaggi del meccanismo narrativo per vivere della propria emotiva ispirazione”……faccio fatica a capire cosa intendi. Il film per me e’ bellissimo, vero molto drammatico e spesso con la “tendenza a farti piangere forzatamente”, ma credo che chi abbia affrontato un dolore vero, possa ritrovarsi pienamente dentro questa storia! Il film e’ piaciuto a tanti, proprio perche’ affronta un tema che e’ di tutti…..

      • SPOILER…..SPOILER….SPOILER
        Mi riferisco alla trovata narrativa dei tre “finti angeli” che influenzano la vita dei protagonisti. L’ho trovato un meccanismo furbo (che sfocia naturalmente nel colpo di scena finale) che strozza troppo il resto.

    • Cit: “E’ evidente che a Smith, più di ritrovare la propria posizione di star sbanca-box office, premi il bisogno di confermare…”
      La terza persona singolare del congiuntivo presente di premere è prema, non premi, o l’ha scritto Fantozzi in persona l’articolo? Sì lo so, la tastiera, la fretta…