Dallas Buyers Club: vittime di se stessi, compratori di speranza

Matthew McConaughey è Ron Woodroof: vittima di AIDS, di omofobia, ridotto pelle e ossa da un'esistenza di eccessi, si scaglia come un toro contro il sistema, offrendo una speranza di vita a se stesso e agli altri.

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Dalle fessure di una staccionata si intravede un corpo come in preda a convulsioni spasmodiche mentre cerca di mantenere l'equilibrio: un uomo cavalca un toro imbestialito, il toro lo scaraventa a terra, l'uomo è disteso, faccia a terra, immobile. Pochi minuti dopo riviviamo la stessa scena: un uomo cade disteso, faccia a terra, immobile, l'impeto animalesco che ha scaraventato quel mucchio di ossa sul pavimento non è qualcosa di estraneo al suo corpo, non si tratta di un toro, è AIDS.

 

La malattia è una scommessa, si può vincere o perdere. Si può puntare sul quel torero, sembra abbastanza forte da riuscire a rimanere una manciata di secondi in sella, ha le carte in regola per vincere, ma tutto dipende dall'energia-sinergia che si crea tra il corpo umano e il corpo animale, tra il tentativo di stabilire un equilibrio e il dirompente scalpitare di una forza indubbiamente più potente. Rischia la pelle dopo una scommessa andata male “un giorno o l'altro ti faranno un culo così o anche di peggio” “beh… in qualche modo si deve morire”. Riesce a cavarsela, entra in una squallida casa e l'equilibrio che aveva mantenuto fino a quel momento viene meno, si accascia sul pavimento, inerme. E' il primo avvertimento, l'impeto animalesco inizia ad imporsi. La vittima? Un texano, Ron Woodroof (Matthew McCoanughey, Miglior attore protagonista) che ha scelto come compagna la dissolutezza, chiara come le strisce di coca disposte parallele sul tavolo, si diffonde come fumo nell'aria e inebria ciò che rimane del corpo, rendendo ubriaco uno scheletro ambulante.

 

Il rifiuto. “Vede, lei è risultato positivo all'HIV, che è il virus che provoca l'AIDS… Signor Woodroof, ha mai avuto rapporti omosessuali?” “Omo, omo? Ha detto omo? Io non sono frocio, pezzo di merda… Non ne conosco uno di quei froci.” Non solo rifiuta se stesso e la sua condizione, ma anche gli altri, i “diversi”. Non accetta il verdetto del medico, se risultasse vero dovrebbe fare i conti con la sua coscienza e la sua vita fatta di eccessi, non accetta di essere paragonato a “quei froci”. Così il rifiuto si estende a macchia d'olio e contagia la società a lui vicina: amici e conoscenti lo ripudiano, lo scherniscono, lo isolano.

 

Abbandonato da tutti, da solo con se stesso, come un torero fiero di sé Ron Woodroof non molla, non vuole morire, decide di combattere per la sua vita. Il tempo scorre inesorabile, ma la rassegnazione non le fa da padrone. Agguerrito si scaglia contro il sistema, contro le dinamiche di potere delle case farmaceutiche, che muovono a loro piacimento le pedine sul terreno da gioco mettendo in scacco matto il malato. Nel suo viaggio per proporre un'alternativa alle dannose cure ordinarie propinate legalmente, fonda il suo Dallas Buyers Club, incontra persone, supera preconcetti, rinuncia al passato di illusoria euforia per dedicarsi alla cura di se stesso e soprattutto degli altri.

 

Mentre si trova degente in un letto d'ospedale, compare un'anima buona, il suo nome è Rayon (Jared Leto, Miglior attore non protagonista). Il cuore di questo giovane ragazzo, rivestito di calze a rete e abiti dai colori vivaci, comunica amore verso il prossimo e un'immensa fragilità. Entrambi accomunati da uno stesso stato di debolezza e malattia, i due entrano in contatto, giocano a carte. Ancora una volta la scommessa, il gioco: sul piatto del vincitore la possibilità di aprirsi al prossimo, di lasciare una minima traccia del proprio trascorso sulla Terra, di divenire importanti per qualcuno, ma prima di tutto fare qualcosa per sentirsi in pace con se stessi. Ma Ron perde, non è ancora pronto e pronuncia pesantemente il suo disprezzo e la sua ripugnanza nei confronti del “diverso”, non sopporta la vicinanza di quel maschio travestito da femmina. Rayon cerca un po' d'affetto, quell'affetto che il padre, giacca, cravatta e un posto in banca alle spalle, gli nega costantemente. L'amore per se stesso è assente, quel giovane ragazzo dal corpo filiforme, martoriato dalla droga e dall'alcol, non riconosce se stesso, vorrebbe essere altro, estraniarsi dal suo corpo esistente, reinventare se stesso. I due entrano in affari, Rayon lo aiuta a distribuire farmaci “non illegali, semplicemente non approvati”, per poi instaurare un rapporto più intimo: Ron riesce a valicare la barriera dell'omofobia, lo accetta, lo difende, impara a volergli bene e lo invita a volersi bene.

 

“A volte ho l'impressione di lottare per una vita che non ho il tempo di vivere. Vorrei che avesse un senso” e con tenacia e ostinazione Ron riesce ad affidare un senso alla propria vita, combattendo per ciò in cui crede: la speranza, una speranza per se stesso e per gli altri. “Guardami. Che cosa vedi? Eh? Un toro da rodeo, ecco che cosa vedi!”, prima succube dei suoi stessi eccessi e dei suoi godimenti apatici, ora ha dato un senso alla vita, sale in sella al toro, stabilisce un equilibrio e governa la malattia, offrendo speranza agli altri che vivono la sua stessa condizione.

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