Sperimentatore ed esploratore di territori atipici nel panorama nazionale, Peter Marcias, anche stavolta si muove con disinvoltura nel noir surreale, nella sospensione del (falso) poliziesco rarefatto, ma nello stesso tempo carico di sostanza narrativa e visiva. Un commissario di polizia disilluso, una comunità rom ai margini della società e il presunto rapimento di una donna… e poi, il protagonista Salvatore Cantalupo particolarmente ispirato.
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Il trentacinquenne regista sardo, autore di vari videoclip, documentari e cortometraggi, già s'era fatto notare molto positivamente nel suo lungometraggio fiction del 2008, Un attimo sospesi. Sperimentatore e esploratore di territori particolarmente atipici nel panorama nazionale, Peter Marcias, anche stavolta si muove con disinvoltura nel noir surreale, nella sospensione del (falso) poliziesco rarefatto, ma nello stesso tempo carico di sostanza narrativa e visiva.
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Un commissario di polizia disilluso, una comunità rom ai margini della società, nella periferia di Cagliari: il presunto rapimento di una donna fa avvicinare due mondi distanti. Un dramma di volti e di corpi inconsueto, con la capacità di raccontare, che si apre a squarci documentaristici imprevedibili. E poi, il commissario interpretato dal napoletano Salvatore Cantalupo è veramente credibile. Autore talentuoso e soprattutto necessario, nel marasma di nomi che sembrano seguire la stessa linea direttrice creativa, quella del dramma dei sentimenti, dell'amaro e del dolce troppo spesso imbrigliati in una sfuocata incompiutezza di intenti.
L'indagine nel campo rom è quindi il pretesto per seguire la pista dell'analisi sociali, che certo non è appesantita da retorica e pietismo. Evidentemente questa leggerezza non superficiale è favorita anche dall'apporto in sceneggiatura di Gianni Loy, docente di Diritto del Lavoro e uno dei massimi esperti sul fronte della discriminazione razziale. Poi quando, ad un certo punto la storia si lascia andare, nel senso che alcuni protagonisti sembrano improvvisare e raccontarsi senza freni, viene fuori la capacità del regista di spaziare con le varie fonti del linguaggio visivo, di sua competenza. E il reale prende forma, senza forzature di scrittura e con un lavoro sicuramente riuscito dal punto di vista cromatico. E tra le maglie degli aspetti etici, sociologici ed identitari, tenuti insieme con naturalezza, si insinuano le musiche di un interessantissimo compositore, Eric Neveux, già apprezzato in Parlami d'amore di Sophie Marceau e Persecution di Patrice Chéreau.
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