DOCUSFERA #1 – Incontro con Eleonora Mastropietro per Storia dal qui

Inaugurata la rassegna Docusfera di Sentieri Selvaggi con la proiezione di Storia dal qui di Elonora Mastropietro, e un incontro sold out con la regista. Ecco come è andata

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Parte il progetto DOCUSFERA, promosso da Sentieri Selvaggi e realizzato con il contributo e il patrocinio della Direzione generale cinema e audiovisivo – Ministero della Cultura e della Regione Lazio, che offre una mappatura del cinema documentario, uno dei terreni più fertili del panorama cinematografico italiano. Apre la rassegna il film Storia dal qui, di Eleonora Mastropietro, presentato al 59° Festival dei Popoli. Figlia di genitori emigrati a Milano da Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, la regista, dopo la visione del suo film racconta, nel corso del dibattito moderato da Aldo Spiniello, la relazione con la città di Milano e quanto sia autentico il suo senso di appartenenza a questa città al giorno d’oggi. “Il titolo del film inizialmente era Milano doveva essere bellissima. Io sono di Milano e nel periodo di lavorazione del film ho avuto dei dubbi sul richiamo di appartenenza alla terra di origine. Non so se questo è un processo che avviene a tutti coloro che sono figli di una generazione di immigrati perché in realtà io non mi sono mai vista come figlia di immigrati, ma durante il processo del film ho riflettuto su questa cosa e adesso, a distanza di tre anni posso definirmi di Milano per quello che è Milano, ovvero una città di migrazione. Non mi sento quindi di appartenere all’Appennino Dauno se non in una dimensione di rimpianto e ricordo, sofferenza e distanza.”

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Migrazione come tradimento di una terra, lontananza come sofferenza, una questione che si lega alla profonda distinzione tra mito e realtà che la regista accosta alla contemporaneità in cui il turismo è fermo da due anni e il paese stenta a riaccendersi in questa situazione di stallo.

“Nel periodo di lavorazione del film mi sono resa conto di quanto il mito si fosse trasformato in folklore. La vera festa che racconto sarebbe a gennaio ma l’hanno duplicata, in maniera speculare, d’estate perché a un certo punto si sono resi conto che era la cosa giusta da fare per tutte le famiglie che tornavano ad Ascoli solo in quel periodo. Paradossalmente per la gente del paese la festa più importante è quella estiva, perché c’è gente e il fatto che ci sia gente in un certo modo la certifica.”

Eleonora Mastropietro definisce Ascoli Satriano uno dei tanti paesi delle aree interne in cui si contano i “rimasti” e i “partiti”, dove la “restanza” viene definita “eroica” da coloro che sono andati via. Un legame tra le aree interne e quelle di migrazione che unisce chi ha deciso di partire con chi è rimasto.

Ma non si può definire questo “qui non c’è niente” un vantaggio? A Roma o Milano, nonostante la miriade di cose da fare e vedere, non puoi sentirti più solo che in Puglia?

“Quando sono arrivata nel paese ho notato che le relazioni sono intergenerazionali. Ovvero una persona non ha relazioni soltanto con gente della propria età a causa di una questione dimensionale. Quindi in paese si può stare al bar a chiacchierare con l’anziano e col ragazzo più giovane senza distinzione. Posso dire che in paese non si è mai da soli, nel bene e nel male, e puoi fare tardissimo alla sera. Se stai in paese, anche d’inverno, si fanno le tre di notte. Questa è la dimensione che distingue quei posti dalle città.”

La discussione si sposta sulla “perdita di tempo” in analisi all’aspetto tecnico del film che mostra delle riprese molto lunghe che in un certo senso sposano un’idea di lentezza.

“E’ il mio modo di osservare le cose, un modo di stare davanti alle persone nella maniera più sincera possibile. Era secondo me, il miglior modo di stare con loro mentre li riprendevo. Una maniera onesta di giustificare la propria presenza e dimostrare a loro che stavo lavorando. A macchina accesa si stabiliva sempre una situazione di distanza e rispetto. La scelta invece di prediligere inquadrature ampie è un gusto personale ma anche una difesa del mio punto di vista, come se non volessi far loro sapere che li sto riprendendo.”

La regista ammette di sentirsi in debito con questa terra e con il terribile sforzo che hanno fatto i suoi genitori ad andarsene, sacrificio di cui naturalmente loro non parlerebbero mai. L’inquadratura di Storia dal qui attraverso cui la regista spia quasi di nascosto madre e padre mentre stanno pranzando, in questo senso è un chiaro tributo ai veri protagonisti del film: i genitori.

“Mio padre, appena ha visto il film, mi ha detto che se volevo fare una scuola di cinema me l’avrebbe pagata. Oltre a questo non se n’è parlato. Non c’è stato verso di cavare fuori una reazione riguardo a questa mia esperienza che è stata una manifestazione d’amore nei loro confronti, di riconoscenza. Io mai direi che hanno sbagliato ad andare via.”

Il processo di lavorazione del film è per Eleonora Mastropietro insomma un nodo cruciale, e la realtà di questo documentario va cercata proprio nello sviluppo dello stesso. Secondo la regista è assai importante mettersi in relazione con ciò che si filma in modo che qualcosa di personale sia presente in ciò che si racconta al pubblico.

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