DOCUSFERA #4 – Incontro con Francesco Munzi

Lo scorso 28 febbraio, per la rassegna Docusfera, abbiamo incontrato Francesco Munzi, regista di Anime Nere e di Kripton, documentario sugli ospiti di una comunità terapeutica. Ecco com’è andata

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La sera del 28 febbraio scorso Sentieri Selvaggi ha ospitato il regista e sceneggiatore Francesco Munzi, già incontrato ai tempi del suo film del 2015 Anime nere, vincitore di nove David di Donatello e tre Nastri d’argento. Munzi ha presentato il suo nuovo documentario Kripton, una pellicola che racconta la storia di sei ragazzi di una comunità terapeutica nella periferia di Roma, i quali affrontano disturbi della personalità e stati di alterazione. Prodotto da Cinemaundici con Rai Cinema, il documentario è stato proiettato in sala a partire dal 18 gennaio, dopo aver riscosso un ottimo riscontro di critica alla Festa del Cinema di Roma. Durante questo incontro che rientra nel ciclo di Docusfera, la nostra rassegna che indaga le forme del documentario italiano, Munzi ha raccontato il processo di realizzazione di questo suo ultimo lavoro ammettendo subito di aver adottato un approccio molto diverso rispetto ai documentari tradizionali. Ha cercato di richiamare al punto di vista di questi ragazzi, tentando di immergersi nel loro mondo. L’intenzione principale era di evitare la pornografia del dolore, cercando di non suscitare emozioni facili.

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Munzi ha utilizzato il primo piano il più possibile, vincendo la ritrosia di alcuni soggetti, come ad esempio la ragazza che soffre di anoressia, non volevano essere avvicinati. Okana, la ragazza africana, ha rifiutato categoricamente di essere ripresa da vicino sin da subito, ma alla fine delle riprese è stata lei stessa a concedersi alla prossimità dell’obiettivo. Munzi ha raccontato di un rapporto particolarmente complicato con Dimitri, perché il ragazzo si è arrabbiato con lui per aver chiesto delle foto della sua infanzia ai genitori. Tuttavia, col passare del tempo e facendo attenzione a non toccare argomenti sensibili che lo avrebbero fatto chiudere nuovamente, Dimitri ha cominciato ad aprirsi di più. Invece, il rapporto con Marco Antonio è stato completamente diverso perché a differenza degli altri ragazzi voleva essere ripreso, smaniava per mettersi in scena da solo come un vero attore.  Lo stesso Munzi infatti ha raccontato un aneddoto significativo su di lui: ”Eravamo al ghetto quando a un certo punto stava passando un attore molto conosciuto e Marco Antonio lo riconosce. Noi eravamo in quella situazione che sembravamo che giravamo un servizio tipo linea verde sui cicli ebraici, Marco Antonio sembrava il presentatore, a un certo punto lui chiama questo attore un po’ anziano, lui non capisce subito la situazione, ma subito si allerta, si avvicina alla macchina da presa tutto fiero. Marco Antonio lì fa subito un’intervista, lui ci sta e non si rende conto della situazione ma Marco Antonio dopo si scoccia e lo saluta”.

Montaggio di Saverio Corleto

La storia di Marco Antonio ha affascinato e dato ritmo, oscillando tra una misteriosa consapevolezza e il delirio. Munzi e il montatore Cristiano Travaglioli, presente in sala all’incontro, hanno spiegato che volevano andare oltre le storie dei ragazzi, esplorando anche il rapporto che avevano con i genitori, con la loro infanzia. Non volevano semplicemente registrare una cronaca, ma mostrare un’immagine più completa possibile. Girare il documentario non è stato facile, poiché si sono presentate situazioni delicate in cui non era opportuno filmare, come ha ammesso lo stesso Munzi. Momenti come quello in cui lo psichiatra di Dimitri ha chiesto di interrompere le riprese scatenavano la più grande paura del cineasta: che la presenza della macchina da presa potesse modificare il rapporto con i soggetti ripresi. Tuttavia, ciò non è accaduto.

”Il momento in cui arriva la macchina da presa arriva il mostro, arriva qualcosa che congela, tutto il rapporto instaurato cambia, perché c’è questo terzo incomodo. Invece, paradossalmente i ragazzi iniziano subito con la macchina da presa che li filmava, il terzo incomodo è arrivato subito e c’era tutto il tempo per dimenticarlo”.

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