Edhel, di Marco Renda

Tralasciando limiti produttivi e talvolta tecnico-artistici, il film di Renda gioca sapientemente con il genere fantasy, attuando un possibile rovesciamento narrativo al tradizionale coming of age

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Prendere le distanze dai generi massimi del cinema italiano, commedia e crime/gangster, è già di per sé un valore, ma se a questo aggiungiamo l’inesperienza e i probabilissimi limiti produttivi, il lavoro di Marco Renda merita solo elogi.

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Edhel è una ragazzina di dodici anni con una stramba peculiarità; sotto i pesanti cappucci di velluto sgargiante si annidano un paio di orecchie a punta, della specie più fiabesca possibile, se consideriamo che perfino gli elfi tolkeniani, nella trasposizione di Jackson, hanno padiglioni quanto più umanizzati. Eppure è proprio il padre dell’immaginario mitologico UK la fonte e forse l’ispirazione del film (Edhel è il corrispettivo di elfo nella lingua di Tolkien). Dopo la morte del padre, la ragazza fatica ad accettare la sua stranezza e sceglie, su consiglio del personale scolastico e della madre, di sottoporsi alla chirurgia. Ma esiste un’alternativa, una seconda porta indicata da un personaggio forse più bizzarro della “malformazione”, l’opportunità di credere in una “normalità” a cento passi dal senso comune.

Sulla base di un budget cospicuo, forse la strada di Renda avrebbe mostrato il più classico

edhel-recensione-film-centro timore reverenziale al patrimonio di Tolkien, e la smania di ossequiarlo avrebbe dato forma a dilaganti mostri digitali o comunque alle “meraviglie” della computer grafica. A fronte, invece, degli ostacoli finanziari, opera prima, piccola casa di produzione, il regista napoletano opta per la scelta più intelligente. Volendo dar corpo ad un’idea propria, sulla scia di un amore evidente, vista la delicatezza con cui attinge, per gli universi dell’autore, Renda sfrutta il genere fantasy sia come papabile rovesciamento narrativo che sapiente fuoricampo, un’interferenza alla realizzazione del tradizionale coming of age.

La dimensione fantastica diventa quindi un porto sicuro, e non importa se sia suffragata o meno, perché la tesi di Renda sembra piuttosto “la possibile esistenza del possibile”, se sia lecito addirittura chiedersi se le nostre specialità siano figlie di un mondo invisibile, magari a portata di mano, dove tutta la norma è capovolta, dove la luce brilla di più, dove il bosco è la città, dove le orecchie a punta hanno la stessa rarità degl’occhi azzurri. Senza dubbio l’aspettativa della grandiosità scenica c’era e c’è, troppo radicata è l’abitudine a edhel-v1-537190panoramiche sì artificiose ma straordinarie, eppure nelle poche riprese di avvicinamento a quel mondo elfico(?) Renda trasferisce l’elemento più importante, che non è la certezza che esista, bensì l’ipotesi e soprattutto il desiderio. Non a caso il film si aggiudica il riconoscimento della giuria dei giovanissimi al Giffoni: Edhel dipinge le fantasie più infantili, un numero inestimato di luoghi e presenze, ma senza farlo per davvero, dà la chance anche a chi non si permette più voli pindarici di ricordare l’astrazione, magari dandole una qualche forma, nella maniera quanto più soggettiva. Il silenzio, quello che Edhel dice di preferire, è il terreno prediletto del sogno, il paradigma delle costruzioni meravigliose.

Regia: Marco Renda
Interpreti: Gaia Forte, Roberta Mattei, Mariano Rigillo, Nicolò Ernesto Alaimo, Camilla Rinaldi, Fioretta Mari, Christian Borromeo, Gianluca Gobbi
Distribuzione: Vinians Production Srl
Durata: 84′
Origine: Italia, 2017

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