Festival del cinema africano di Milano

Dal 24 al 30 marzo

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Un coniglio che ci guarda e ride, dai tratti squadrati e molto colorato, con le orecchie e parti del corpo a forma di pellicola, che mixa l'immaginario occidentale (lo si può vedere come una sorta di Bugs Bunny rielaborato) con la memoria africana, le maschere della tradizione e dei riti. Questo coniglio è il simbolo della tredicesima edizione del Festival del cinema africano di Milano in programma da lunedì prossimo, 24, fino al 30 marzo.

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MilanoAfrica è la più ampia e continuativa manifestazione italiana dedicata al cinema di quel continente, ma anche a quanto accade altrove nel mondo, là dove l'Africa si è spostata per dare vita a nuove immagini della diaspora e della contaminazione. Inoltre, il festival propone, ormai da anni, la sezione 'Finestre sul mondo', riservata a opere di altri continenti, utile per aprire ulteriormente il discorso, lo sguardo, la riflessione sul senso che ha oggi 'stare sulla terra'.


Frequentare il festival, alla cui direzione artistica stanno Annamaria Gallone e Alessandra Speciale (con la collaborazione di Giuseppe Gariazzo, curatore della sezione video), significa avere la possibilità di vedere buona parte delle novità (lungometraggi, cortometraggi, video e pellicola, documentari e fiction) provenienti dalle cinematografie africane e di incontrare i protagonisti che quelle opere le fanno, talvolta tra molteplici difficoltà. Ecco dunque le consuete sezioni competitive di lungometraggi (10 titoli, dal Maghreb al Sudafrica, da "Heremakono" del mauritano Abderrahmane Sissako, che da Cannes 2002 è il film africano più richiesto e premiato, all'opera prima tunisina "El kotbia" di Nawfel Saheb-Ettaba, melodramma di grande intensità, così come nel melodramma si inscrivono, in altre forme, "Bent Keltoum" dell'algerino beur Mehdi Charef e "Poupées d'argile" del tunisino Nouri Bouzid), cortometraggi (tra cui il lavoro d'animazione "Kokoa" del nigerino Moustapha Alassane e due episodi della serie sudafricana "Yizo Yizo", vita di college in un liceo della periferia di Johannesburg, gran successo in Sudafrica, ideata da Teboho Mahlatsi, uno degli autori emergenti di quella cinematografia, sofisticato e visionario), video (che nei casi migliori testimoniano la ricollocazione nel mondo del concetto di 'essere africano', come persona e come cinema), e poi i fuori concorso (da non perdere il coraggioso, imperfetto, innovativo, sperimentale "Bedwin Hacker", primo lungometraggio della tunisina Nadia El Fani, che spinge davvero il cinema arabo verso altre dimensioni, apolidi, filmiche, strutturali, nell'immaginare una storia di spionaggio via internet tra deserto africano e Europa) e le retrospettive.


E con le retrospettive torniamo al coniglio. Infatti, una delle sezioni imperdibili del festival di quest'anno sarà quella dedicata al cinema d'animazione africano (curata da Maria Silvia Bazzoli). Per far scoprire agli spettatori (a quelli occasionali, ai cinefili, ma anche a gran parte degli addetti ai lavori) l'esistenza di un mondo finora rimasto quasi inesplorato, e non solo in Italia, appunto quello del cartoon africano, sviluppatosi in maniere e forme differenti dal Nord Africa all'Africa sub-sahariana. Per la maggior parte dei casi si tratta di opere di durata breve, se non brevissima, per documentare in maniere originali storie, leggende, Storia, favole, riletture dei cartoon occidentali. Si va dal pioniere assoluto di questo genere, Moustapha Alassane, del Niger, che negli anni Sessanta inventò nuove strade per il cinema africano, al sudafricano William Kentridge, artista non solo cinematografico che lavora sulla memoria del suo Paese con straordinaria lucidità e sperimentazione. Un libro e una tavola rotonda (giovedì 27 marzo alle 18 allo Spazio Oberdan) completano la retrospettiva.


L'altro omaggio sarà invece riservato al cinema del Sudafrica, soprattutto degli anni Cinquanta, gli anni del musical e delle lotte politiche, dell'apartheid e della militanza, delle dive della musica afro, da Miriam Makeba a Dolly Rathebe. Una sezione con titoli rarissimi, a partire da "Jim comes to Jo'burg" di Donald Swanson, primo film di finzione sudafricano girato in una vera township, con attori neri (ma il regista è inglese), al restaurato "Siliva Zulu" girato dall'italiano Attilio Gatti nel 1927 e presentato in collaborazione con la Cineteca Italiana.


Quest'anno il festival – che si inaugura la sera del 24 marzo alle 20.30 al cinema Excelsior con l'anteprima italiana di "25th Hour" di Spike Lee – si sposta dai suoi luoghi storici per approdare in un'altra zona di Milano, quella di Porta Venezia. Le sale cinematografiche, tutte facilmente raggiungibili con la metropolitana, saranno l'Auditorium San Fedele (ovvero la sala 'storica'), lo Spazio Oberdan e la multisala Arcobaleno.


Informazioni e programma si trovano sul sito www.festivalcinemaafricano.org . La sede del festival, organizzato dal COE, è in via Lazzaroni 8, tel. 02/6696258 oppre 66712077.

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