FESTIVAL DI ROMA 2010 – "Le cose che restano" nell'Italia che ci rimane

gianluca maria tavarelliFiction nel senso più ampio del termine, storie che si intrecciano a disegnare un panorama comune, collettivo, che ambisce a farsi quadro nazionale. Questo il contesto in cui si inserisce l'ultimo lavoro di Gianluca Maria Tavarelli, Le cose che restano, che verrà presentato tra gli Eventi Speciali della Quinta Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma

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le cose che restanoSi direbbe davvero che la crisi generi bisogno di autorappresentazione. Fiction, dunque, nel senso più ampio del termine, storie che si intrecciano a disegnare un panorama comune, collettivo, che ambisce a farsi quadro nazionale. Questo il contesto in cui si inserisce l'ultimo lavoro di Gianluca Maria Tavarelli, Le cose che restano, che verrà presentato tra gli Eventi Speciali della Quinta Edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, giovedì 4 novembre.

Il nostro regista sembra davvero credere alla possibilità di una televisione di qualità. Si tatta, infatti della sua quarta opera destinata alla TV, dopo la coraggiosa miniserie Paolo Borsellino del 2004, interpretata da Giorgio Tirabassi (La cena, La pecora nera, Non prendere impegni stasera, le serie TV Distretto di Polizia e I liceali), seguita dalla Maria Montessori incarnata da una coinvolgente Paola Cortellesi (Piano, solo, Due Partite, La fisica dell'Acqua, Maschi contro femmine) e dall'acuta riflessione sul caso Moro in Aldo Moro – il Presidente, che vide nel ruolo del protagonista Michele Placido (L'odore del sangue, Il caimano, L'ultimo Padrino, La sconosciuta, Baarìa).

Tavarelli racconta così la fase di preparazione alle riprese:
Quando penso e scrivo c'è sempre un'idea visiva, delle immagini, come se sognassi. Poi all'idea iniziale associ i suoni, le parole, le emozioni ed i dialoghi. Solo alla fine arriva l'inquadratura. Una cosa che mi piace già fare in fase di sceneggiatura è quella della localizzazione. Mi piace pensare al film nei luoghi in cui verrà girato. Ma la parte più importante di fase precedente alle riprese è la scelta ed il lavoro con gli attori. Soprattutto sui personaggi, sulle motivazioni, sviscerare cosa possano pensare o fare in determinate situazioni. Ogni volta faccio moltissime prove.”
Cura nella scelta del cast e nel lavoro sugli attori, ma anche un'attenzione rara, per la televisione, alla sceneggiatura, coadiuvato da narratori di un certo calibro, quali Giancarlo De Cataldo (Romanzo Criminale) nella riduzione di Aldo Moro.le cose che restano

Televisione, dunque, ma di quella dignitosa, non necessariamente -oggi più che mai- costretta a guardare al Cinema dal basso verso l'altro. Anzi, nel caso specifico di Tavarelli, si direbbe che le incursioni nel Cinema vero e proprio non risultino riuscite quanto la fiction televisiva, se si pensa alle brevissime permanenze in sala ed alle critiche non sempre positive dei 4 film girati specificatamente per il Grande Schermo.

Si tratta per lo più di affreschi corali generazionali, uno sguardo sull'universo dei ventenni in Liberi oppure uno scorcio sui quarantenni in Non prendere impegni stasera, fino alla riflessione trasversale sul tempo che scorre in Un amore.

le cose che restanoAmbientato a Roma, Le cose che restano è una produzione BI. BI. Film, Rai Fiction, France 2 Cinéma, MFP, un film TV da spezzettare per essere mandato in onda -352 minuti di maratona nella Sala Alitalia del Villaggio del Cinema, durante il Festival-, sceneggiato da due grandi nomi dell'attuale cinema italiano, Sandro Petraglia e Stefano Rulli (non a caso, entrambi sceneggiarono La meglio gioventù, di cui Le cose che restano si propone di seguire le orme).

La famiglia protagonista dell'opera si fa portavoce di una Italia alla disperata ricerca di identità dopo un trauma, un evento doloroso che necessita una ricostruzione del senso della vita, una nuova meta e nuovi valori, quando quelli passati trascolorano, contaminati tanto dalle novità quanto dalle perdite. Claudio Santamaria, Lorenzo Balducci, Ennio Fantastichini, Paola Cortellesi, ed intorno a loro una vasta schiera di personaggi, italiani tra i 20 e i 40 anni, che si barcamenano tra lavoro precario e guerre vicine e lontane, reali (che uccidono subito) ed interiori (che uccidono lentamente). Pessimista e disilluso, Tavarelli sembra continuare lungo la medesima linea di pensiero che lo aveva condotto, nel 2000, ad affermare con certezza che Qui (l'Italia) non è il paradiso.

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