FESTIVAL DI ROMA 2013 – Young Detective Dee: Rise of the Sea Dragon, di Tsui Hark (Fuori concorso)

young detective dee

Il cinema, per sopravvivere alla morte, deve accettare la sfida di una trasformazione incessante, cambiare pelle, umore, colore, tono, scena per scena, immagine per immagine. Trovare, magari, l’incrocio impossibile tra le esigenze spettacolari del blockbuster e la necessità morale della sperimentazione e dell’invenzione di nuove forme

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young detective deeChe con Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma, Tsui Hark avesse creato un personaggio nuovo e fondamentale, il protagonista “mutaforme”, appariva evidente già in quella straordinaria capacità di Andy Lau di cambiare aspetto e prospettiva a ogni istante. Ora Di Renjie ha compiuto la trasformazione suprema, per il miracolo dell’inaffidabilità del cinema. È diventato giovane, assumendo le fattezze di Mark Chao. Che seppure non ha le capacità illusionistiche di Lau, tenta tutti i trucchi pur di sfuggire all’ingabbiamento: un cappello a coprire gli occhi, qualcosa per gonfiare le guance o un po’ d’erba per fingere una malattia contagiosa.

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Di Renjie è davvero una sorta di chimera mitologica: fermo e saldo nello spirito e nei principi, eppur inafferrabile nella sostanza. Un modello e un mistero, di cui conoscevamo già le mirabili intuizioni, ma di cui, del resto, solo oggi scopriamo la paura dell’acqua. Personaggio liminare tra la leggenda e la storia, tra la fedeltà all’ordine costituito e l’infrazione delle regole in nome di un’ipotesi di giustizia superiore, attraversa la linea di confine tra la libertà e il carcere, tra il rigore logico dell’indagine poliziesca (magistralmente risolta in poco più di un’ora di film) e l’inspiegabile caos del fantastico. Ed è su di lui che Tsui Hark costruisce, meravigliosamente, un altro film che cambia aspetto e attraversa i generi, con l’indifferente consapevolezza di chi sa che l’unica credibilità del cinema è data dalla coscienza della potenza viva delle forme. Un film che sembra fatto d’acqua, che procede con la stessa velocità narrativa di un’onda e la stessa potenza visiva di un vortice.

 

young detective deeIl prequel, per Tsui Hark, non è un ritorno al passato, se non nel riferimento al proprio percorso autoriale e produttivo innovativo. Ma è, piuttosto, un proiettile lanciato verso futuro, che rilancia, nei confronti di tutto il mondo del cinema, di chi lo fa e di chi lo guarda, a Oriente come a Occidente, la sfida di una nuova ipotesi di entertainment, che inaugura la frontiera del blockbuster del futuro. Perché, oltre a essere un pericoloso e magnifico incanto per gli occhi, girato con la sicurezza di uno stile supremo e lucidamente teorico (e chi può accettare il confronto con Tsui Hark? Peter Chan? Michael Bay?), Young Detective Dee rappresenta davvero l’affermazione politica di una prospettiva autoriale in grado di mettersi in gioco oltre la crisi della narrazione e delle immagini. Se oggi il cinema ha il fiato corto, se davvero non può più pensare di perseguire una grandezza spettacolare se non sacrificando l’uomo, i corpi, all’indifferenza della macchina, se i film sembrano sempre più malati, impauriti, costretti a rifugiarsi nei limiti di un set ristretto, di uno spazio chiuso dai contorni ben definiti, se è solo una questione familiare, se sono evidenti (e, a loro modo, splendidi) i limiti d’immaginazione rispetto alle illusioni invisibili dell’era virtuale… se, in altri termini, il cinema sembra raccontare il proprio fallimento, più o meno bene, Tsui Hark indica un’altra strada per uscire dal gorgo. La più dritta possibile, invero, e capace di coniugare la fedeltà alla sostanza profonda della materia con l’inafferrabilità della sua superficie visibile, la concretezza e l’astrazione di concetti come tempo, spazio, movimento… Il cinema, per sopravvivere alla morte, deve accettare la sfida di una trasformazione incessante, cambiare pelle, umore, colore, tono, scena per scena, immagine per immagine. Deve attraversare i confini e trovare, magari, l’incrocio impossibile tra le esigenze spettacolari del blockbuster e la necessità morale della sperimentazione e dell’invenzione di nuove forme. E, quindi, riuscire a rendersi leggibile non più affidandosi all’unidirezionalità di una prospettiva centrale, ma rischiando la molteplicità sfuggente dei punti di vista, delle direzioni, delle linee di movimento, della combinazione complicata delle “dimensioni”.

 

young detective deeIn fondo, aldilà della differenza delle storie personali, biografiche e professionali, delle diverse visioni del mondo, questo Tsui Hark non sembra poi tanto lontano da German. L’uno guarda al centro del vortice, l’altro al fondo dell’abisso. Ma entrambi portano avanti una comune concezione etica del cinema: lo sfondamento continuo, consapevole, dei suoi limiti, la rimessa in discussione delle abitudini consolidate dello sguardo. Si ritrovano lungo quella strada dolorosa, ma necessaria in cui è l’etica a governare l’estetica, la profondità della prospettiva umana si riappropria delle esigenze narrative e spettacolari. La stessa strada folle che trova ai suoi margini gente come Cimino e Cassavetes . E lungo cui possiamo ancora incontrare magnifici incoscienti come Demme o Gray.

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