"Flicka – Uno spirito libero", di Michael Mayer

Cinema "anziano" che – come certi canuti cowboy affacciati da secoli alle verande del Wyoming –  guarda al passato, racconta pateticamente la fine di un mondo – la fine del West – attaccandosi alla bottiglia dei ricordi ed illudendosi di poterci ancora cavare qualcosa di buono per i 16enni che vanno al cinema nel 2007.

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Chissà che un giorno qualcuno non decida di fare il punto sul duraturo e appassionato rapporto tra il cinema ed i cavalli: data la complessità della materia, ne verrebbe fuori un volumetto nemmeno troppo agile. Occorrerebbe probabilmente dividerlo in sezioni, a seconda del genere d’appartenenza e del ruolo giocato dal galoppante eroe di turno: dovrebbero infatti trovarvi posto sia i movie- horses – diciamo così-  “agonistici” (“Corri Cavallo, Corri” (1983), (“Hidalgo – Oceano di Fuoco” (2004)) che le melodrammatiche storie d’affinità elettive omo-equestri (“L’uomo che sussurrava ai cavalli” (1998), “Nestore – L’ultima corsa” (1994)); tanto le vicende tragicomiche e/o gangsteristiche calate nel sottomondo delle scommesse ippiche (“Rapina a mano armata” (1956), “A day at the Races” (1937) o il vanziniano “Febbre da Cavallo” (1976)) quanto certi esotici racconti attraversati da possenti stalloni neri (“Black Stallion” (1979)). Questo a voler naturalmente escludere – per ragioni di spazio – tutta la saga western hollywoodiana e – per ragioni di pudore – buona parte del filone porno consacrato alla zoofilia. Ed anche “Ben Hur” (1959).
Flicka – remake del quasi omonimo “My Friend Flicka” diretto da Harold Schuster in Svezia nel 1944 –  apparterrebbe invece al fruttuoso filone denominabile “una ragazzina ed il suo amato cavallo”. Si tratta della storia di un’amicizia istantanea tra una cocciuta adolescente invasa dall’amore per i purosangue, le praterie ed i ranch ed un cavallo selvaggio incrociato, un bel giorno, in montagna: deciderà di conquistarlo e addomesticarlo, specchiandosi nella sua indole ribelle e ritrovando nella sua galoppata furiosa la stessa aspirazione ad una libertà incondizionata.
Il racconto è tutto puntellato sui vecchi immutabili valori dell’america profonda, quella del Sud, ricoperto da cima a fondo di pigre metafore esistenziali ed intriso di mortificanti riferimenti al pretesto dualismo natura-libertà/cultura-reclusione.

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Un film evidentemente pensato per un pubblico di ragazzi eppure, contemporaneamente, un film incredibilmente anziano nel modo in cui è stato pensato e girato: produzione che – come certi canuti cowboy affacciati da secoli alle verande del Wyoming –  guarda al passato, racconta pateticamente la fine di un mondo – la fine del West – attaccandosi alla bottiglia dei ricordi ed illudendosi di poterci ancora cavare qualcosa di buono per i 16enni che vanno al cinema nel 2007. Come se bastasse ancora il campo lungo sulla prateria ed un carrello laterale ad inseguire zoccoli in velocità e criniere al vento. Nel volumetto di cui si diceva, concentrarsi su esempi migliori.

 

Regia: Michael Mayer
Interpreti: Alison Lohman, Tim McGraw, Maria Bello, Ryan Kwanten.
Genere:
Drammatico
Origine: UK/USA, 2006
Durata: 95 minuti.

 

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