Francisca, di Manoel de Oliveira

Lineare, intimamente legato ad una visione particolare e personale del cinema come unico strumento di conduzione dell’efficacia rappresentativa. In streaming su RaiPlay

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Ho scoperto che il linguaggio è sovrano, anche al cinema.
Tutto deve essere sottomesso al linguaggio.
Manoel de Oliveira, Parole et cinéma, 2001

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Come sottolinea Francesco Saverio Nisio nel suo Manoel de Oliveira – Cinema, parola, politica, l’opera cinematografica di de Oliveira si specifica in quella piccola metafisica della parola che costituisce la principale caratteristica del suo lavoro artistico, frutto di un percorso volto a redistribuire progressivamente all’interno del cinema le riflessioni che negli anni hanno portato l’Autore portoghese a considerare segno costante del suo fare film, l’uso della parola. Ha affermato a questo proposito: Il cinema non deve essere poco parlato. Come ho letto da qualche parte: il linguaggio parlato è un linguaggio totale. Si può quindi, con una certa sicurezza, asserire che la specificità del cinema di de Oliveira sia quella legata alla parola come fonte principale della rappresentazione, che a sua volta si caratterizza ulteriormente nel cinema dell’Autore attraverso l’unità del punto di vista, che diventa il trait d’union tra rappresentazione cinematografica e teatrale. Entrambi gli elementi trovano unità e sintesi prima nel pensiero (La parola serve a spiegare il pensiero, ma essa è anche il ritratto delle cose, e ugualmente, ritratto del pensiero) e quindi nell’immagine (Di fatto la “parola” riunisce già in se immagine, movimento e azione). Di queste riflessioni, ben più amplificate e circostanziate con gli inevitabili riferimenti al pensiero dei grandi filosofi, nasce il cinema di de Oliveira, che già nei titoli della sua vasta filmografia sa condensare questo percorso. Un film parlato del 2004 e lo splendido e precedente Parola e utopia del 2000, aprono programmaticamente le prospettive offrendo una chiave interpretativa al cinema del regista, ma, soprattutto nel secondo, l’autore prova a ragionare sulla polivalenza della parola come fonte di ogni conoscenza e come concetto prodromico di ogni utopia.

È dentro queste coordinate che va letto un film cruciale come Francisca del 1981, opera conclusiva della notevole tetralogia sugli amori frustrati, che comprende, nell’ordine, Il passato e il presente del 1972, Benilde o la vergine madre del 1975, Amore e perdizione del 1978.
Francisca è tratto dal romanzo Fanny Owen di Agustina Bessa-Luís ed è ispirato a fatti reali accaduti nel Portogallo del XIX secolo. Due amici, José Augusto e Camilo Costelo Branco, si innamorano di Francisca, detta Fanny. Lei andrà in sposa a José Augusto, ma il matrimonio non si consumerà e, nonostante il matrimonio, il marito continuerà a condurre la sua vita bohémienne amando altre donne. Si incrinerà l’amicizia con Camilo il quale è addolorato per le condizioni di Fanny, ma soprattutto per il trattamento che il marito le riserva. Fanny, ammalata, morirà e presto anche Augusto seguirà la stessa sorte.
Francisca è, nel naturale scorrere della filmografia deoliveiriana, insieme al precedente Amore e perdizione, un film fittamente intessuto della materia teorica che abbiamo provato a sintetizzare. Manoel de Oliveira mette in gioco le sue doti di regista-pensatore, sperimentando nella lingua e nella parola quelle riflessioni sul cinema e sulla sua natura di dispositivo utile a restituire una realtà mutata a favore delle persone sensibili, come amava dire. Un lavoro di trasposizione che trova diretta forma espressiva nella composizione scenica di stampo teatrale concetto da considerarsi in una particolare accezione e sul quale sarà opportuno tornare. Francisca è un film a suo modo lineare, di certo intimamente legato ad una visione particolare e strettamente personale del cinema, che nella teoria di de Oliveira diventa l’unico strumento di conduzione dell’efficacia rappresentativa.
Francisca è un melodramma che vive dentro la parola, dentro il crearsi del mondo attraverso le parole dei suoi personaggi. La parola, insieme al tema della rappresentazione, diventa il fattore fondamentale per dare vita al melodramma, che diventa privato per offrire anche un sostrato politico al film ambientato nella metà dell’800 epoca cruciale per il Portogallo, diviso tra istanze liberali e convinti assertori di un assolutismo restauratore. Il mio cinema è politico rispondeva a chi provava a paludare questo termine dietro quello di metafisica, il concetto di metafisica è complicato, ribadiva il regista.
È la parola a creare il pathos, è la parola a conferire spessore alla vicenda, ad arricchire di quella necessaria poesia gli aspetti prosaici della vita. Se esiste, dunque, una specificità per il cinema di de Oliveira questa è quella della parola (in verità anche di altro cinema portoghese e, pensando a Saramago, anche dell’espressione letteraria), dentro la quale leggere ogni sentimento fino all’utopia nella rappresentazione dell’eloquio e della predicazione (Parola e utopia). I personaggi di Francisca vuoti e quasi cartonati nella loro fissità, sembrano contenitori di parole che vivono solo nell’espressione della parola, del discorso.
La seconda e non secondaria specificità è quella della rappresentazione. Diceva de Oliveira che Bisogna creare un teatro per poter filmare. Si riferiva ad un teatro che fosse forma della rappresentazione del pensiero, che potesse mettere in rapporto la parola e la scena, laddove la scena nel cinema, come dalle sue parole proposte all’inizio, resta sempre asservita alla parola, o meglio al linguaggio che resta sovrano. Pertanto, il teatro di de Oliveira è solo la teatralizzazione della rappresentazione e davvero il cinema, il suo cinema, diventa il dispositivo traghettatore della nuova rappresentazione che nasce dall’esaltazione del linguaggio e dall’immagine del pensiero che si fa necessariamente teatro. Francisca diventa emblematico in questa prospettiva poiché, anche e soprattutto in questo film, il regista portoghese sperimenta il rigore formale di questa soluzione astraendo quasi i suoi personaggi da ogni scenario, portandoli davanti al proscenio, laddove lo spettatore incombe con la sua presenza e, svilendo ogni forma di psicologia narrativa, elimina l’interazione tra i personaggi, che, invece, interagiscono direttamente con lo spettatore attraverso un insistito e complice sguardo in macchina, che contravviene ad ogni più elementare regola del cinema. Lo spettatore resta dunque complice e chiamato in causa in questo gioco che dà forma alla rappresentazione, quindi alla finzione. Ma questa non è più finzione. In questa prospettiva, la rappresentazione sembra perdere le caratteristiche proprie di imitazione della realtà, per costituire, a sua volta, una ulteriore possibile forma di reale, un reale trasparente e anodino, non intaccato dalla psicologia, un reale che sotto questa nuova veste coinvolge, direttamente e inaspettatamente, anche la volontà del pubblico. L’autore chiama dentro il film il suo pubblico, rovesciando il senso del divertissement di Woody Allen e restituendo al cinema quel grado di assoluta e alterata contiguità con la realtà. Il film dunque sembra dovere appartenere ad un tertium genus. La sua forma rappresentativa, infatti, così ce la offre. In Francisca, ma anche in altri film del regista, la messa in scena è solo un fondale necessario che non ha interazione con i personaggi, volutamente si allontana dal reale. Non è neppure teatro (filmato), poiché non ne possiede le caratteristiche, diventando dunque rappresentazione eterea, svuotata da ogni consistenza narrativa. Una straordinaria invenzione, quindi, che diventa forma di comunicazione della ideale rappresentazione. Un lavoro di sottrazione e di progressivo perfezionamento per questo Autore che è riuscito a lasciare un segno indelebile con la sua filmografia, ancora largamente inesplorata, e sicuramente da comprendere tra i grandi fenomeni culturali del ‘900.

 

Titolo originale: id.
Regia: Manoel de Oliveira
Interpreti: Teresa Meneses, Diogo Dória, Mário Barroso, Glória De Matos, Isabel de Castro, Lia Gama
Durata: 166’
Origine: Portogallo, 1981
Genere: Drammatico

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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