Hunt, di Lee Jung-jae

Un film che unisce l’action e spy movie, in una sfida tra due alti funzionari impegnati a sventare un attentato e catturare il traditore. Segue molte piste, ma non riesce a tenerle. Fuori Concorso

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L’action movie coreano è un insieme esagitato botte, sparatorie, pestaggi inserito in una trama di spionaggio. Siamo negli anni ’80, in un periodo in cui era più vivo che mai il ricordo della separazione del paese, e nei due blocchi era ancora possibile respirare una speranza di riunificazione. Nella Corea del Sud al potere ci sono i militari saliti al potere con un colpo di stato. Dalle fila degli alti funzionari della sicurezza arrivano i due protagonisti, Park Pyong-Ho e Kim Jung-Do, alleati nella ricerca di un traditore dello stato e tuttavia rivali in un clima avvelenato dai sospetti e costruito sulle ambiguità reciproche.

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Il film è costruito su una corsa contro il tempo, per sventare un attentato previsto durante una visita ufficiale in Giappone del nuovo presidente, e trovare una spia nordcoreana. Dentro quell’intervallo ci sono le turbolenze e le proteste, la violenza, i pedinamenti, e tutti i metodi poco ortodossi utilizzati dalla polizia e dai servizi segreti per estorcere verità di comodo. Insieme simultaneo per ricostruire un quadro complesso, inquinato dalle ideologie frustrate, dai desideri di rivoluzione, dal bisogno di riprodurre una società spaccata. L’argine posto tra il tiranno, il sistema ingiusto e corrotto, ed il popolo, umiliato ed offeso, esposto al capriccio della forza. La sfida tra Park e Kim lascia trapelare prove ed indizi, semina dubbi sufficienti a rivelare un passato dimenticato o meglio cancellato, circondato dal mistero. Di conseguenza l’evoluzione coincide con la scoperta, spuntano gli scheletri dagli armadi, e la trama si infittisce, spuntano documenti scottanti, esplora gli interni trasformati in camere di tortura, in un mondo diventato pericoloso.

Lo sguardo di Lee Jung-jae, il popolare protagonista di Squid Game, è interessato ad assecondare un ritmo vorticoso, esasperato dalla corruzione, disposto a sacrificare la fiducia in una società anaffettiva, resa tale da una generale sfiducia e un assetto guerriero. Parte di quella forza si perde in una continua ricerca del colpo di scena, nel seguire molteplici piste per poi abbandonarle trasformandole in fumo. Capita però che in questa opera di scarto, i detriti trascinino via la profondità dei protagonisti stessi, resa sempre più labili, come se l’ombra debba accompagnarli dall’inizio alla fine. Forse soltanto un modo di rimarcare una realtà alienante, impunita ed impalpabile, con il rischio l’occhio dello spettatore possa scivolare tra i fantasmi, ostacolato nel suo processo di immedesimazione e lasciato vagare in un rebus in cui è davvero difficile districarsi. Le atmosfere di The Housemaid (doe Lee Jung-jae era protagonista) sono lontane, la sensualità morbosa ha lasciato il posto al buio dell’inganno. L’uomo, perso ed errabondo, impegnato ad interrogarsi sul proprio essere, con una pistola in mano, ed il bisogno di guardarsi le spalle.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7
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Il voto dei lettori
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