Il caso Sdrumox e la nostra condizione di “sudditi digitali”

Se si guarda oltre la retorica della rete, si possono intravedere gli steccati dei regni digitali, all’interno dei quali vige una sproporzione di poteri. Come testimonia il caso Sdrumox vs Twitch

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Donazione: Compro venti neri.
Sdrumox: No, ragazzi. I neri non si comprano. Il nero deve morire.

Quando pronuncia questa battuta lo streamer e influencer Sdrumox, nome d’arte di Daniele Simonetti, è impegnato in una partita alla roulette. Il giorno dopo, Twitch gli comunica il ban dalla piattaforma per hate speech. Col divieto di trasmettere dirette, da un giorno all’altro viene privato del suo lavoro e costretto al silenzio. Infatti, la punizione proviene direttamente dagli USA e l’intermediario italiano consiglia di non fare troppo rumore al riguardo. Da una parte c’è il contratto di esclusiva per le dirette che Twitch sottopone ai suoi partner, dall’altra la speranza che la punizione espiri presto, visto che sono pochissimi i casi di ban a vita della piattaforma. Sdrumox viene costretto al silenzio per più di sei mesi, non potendo nemmeno apparire nelle live altrui. Anche se tombato nel silenzio, il motivo del ban si diffonde, scatenando ondate di solidarietà: #freesdrumox entra più volte in tendenza e nasce l’iniziativa del “No stream day” per protestare contro questo trattamento. Il supporto è tale che in una live ufficiale di Twitch gli utenti commentarono così tante volte con l’hashtag da costringere la piattaforma a vietarlo. Questi eventi si sono svolti nel 2020, in piena pandemia. Il 26 febbraio 2024, senza nemmeno una notifica ufficiale, Twitch sospende il ban a Sdrumox.

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Ognuno di noi può giudicare come vuole il black humor in base alla propria sensibilità. Eppure, rimane un fatto inquietante in questa vicenda: la sproporzione di potere tra le piattaforme e gli utenti. Twitch è stata giudice, giuria ed esecutrice di una sentenza sul destino professionale di un uomo, senza che questo potesse rivolgersi a nessuno. Nemmeno a un avvocato, vista la spesa ingente che comporterebbe studiare il quadro giuridico statunitense, l’unica legislazione applicabile al caso visto che la compagnia è di proprietà di Amazon. Perché in Italia, ci troviamo di fronte a un vero e proprio vuoto legislativo. Successivamente alla tragica vicenda dei TheBorderline, erano state lanciate proposte, ma sono rimaste solamente promesse da politica dei social network. A oggi, le linee guida dell’AGCOM sono ciò che si avvicina di più a un quadro normativo, che comunque si concentra sui creatori di contenuti piuttosto che sulle piattaforme, che rimangono entità inattaccabili e distanti. Nel mentre, possiamo seguire l’andamento (in crescita) dei provvedimenti arbitrari della piattaforma attraverso questo sito.

Ogniqualvolta si stabilisce un limite, le persone si spingeranno sempre oltre”. Sono parole del CEO di Twitch, Dan Clancy. Verso la fine dell’intervista condotta dallo streamer italiano Enkk si arriva a parlare anche dei ban. Gli interrogativi sollevati dallo stesso CEO testimoniano la riflessione in corso su questi temi complessi. Quando, però, Enkk solleva il caso Sdrumox (senza nominarlo direttamente) la risposta di Clancy è indicativa: consiglia di scrivere direttamente a lui su Discord per dirimere la questione. Ecco, allora, che diventa chiaro come le piattaforme siano di fatto dei regni digitali con il potere assoluto concentrato in poche mani di plasmare discorsi e immaginari collettivi. D’altronde ce lo ricordava Geert Lovink nel suo seminale Le paludi della piattaforma: per quanto la retorica della rete rimandi spesso agli ideali democratici, la realtà dei fatti indica se non proprio un monopolio almeno un’oligarchia. Lo stesso termine piattaforma è più che conveniente, visto che rimanda a una neutralità di queste architetture digitali che è solo millantata. Ogni mezzo d’espressione può essere trasformato in uno strumento di manipolazione e controllo. La rete che volevamo percorrere può in ogni momento catturarci. Da navigatori a sudditi digitali.

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