Il gesto delle mani, di Francesco Clerici

Il film di Clerici è un lucidissimo discorso sul tempo del cinema al lavoro, quello scarto invisibile tra l’automatismo della fabbrica e la fuoriuscita del gesto creativo dalle mani

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E’ sempre un momento importante quando il cinema ritorna nelle officine, a raccontare il tempo e il respiro che il lavoro impone all’immagine, sin dalle origini uno degli istanti più alti e compiuti che questa macchina possa replicare.
Francesco Clerici affronta il materiale del suo Il gesto delle mani con tutto il rigore e il senso della consapevolezza che implica raccontare le operazioni quotidiane di uomini al lavoro tra altoforni e attrezzi meccanici, e sembra cercare, per tutta l’indagine portata avanti dal suo film, di fissare quello scarto invisibile tra l’automatismo della fabbrica e la fuoriuscita del gesto creativo dalle mani, appunto.
Quella sintesi già contenuta nella denominazione del luogo esplorato dal film, la Fonderia Artistica Battaglia, attiva a Milano dal 1913 nella realizzazione di opere in bronzo, attraverso la tecnica della fusione a cera persa, rimasta sostanzialmente immutata da secoli.

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Approntando un’essenzialità estetica e un processo di registrazione cari essenzialmente al documentario di stampo antropologico, Clerici concentra il suo sguardo proprio sulla messa in pratica di quel collegamento nascosto tra “Fonderia” e “Artistica”, annotando con le sue riprese ogni passaggio nella creazione di uno dei celebri cani di bronzo dell’artista Velasco Vitali: nessun commento alle immagini, zero interviste, l’unico parallelo di un filmato d’archivio del 1967 che descrive, immutati e immutabili, gli identici procedimenti attuati decenni prima in Fonderia.

Risulta chiaro a questo punto come, fatta salva la centralità dello spazio di questa narrazione scientifica, Il gesto delle mani sia in realtà un lucidissimo discorso sul tempo, sui tempi – di raffreddamento, di gestazione, di cottura, di invenzione. Sul tempo del cinema al lavoro.

Girato con un budget ristretto in più di un anno, insieme a cinque ingegneri del suono e un fisico delle particelle, Il gesto delle mani si sublima così a conti fatti lungo i suoi 77 minuti in un film-oggetto di per se stesso, solido e tangibile, in qualche modo non attraversabile ma da affrontare come corpo scultoreo chiuso e pesante: Clerici davvero pare essere da questo punto di vista riuscito a donare forma al tempo, coordinata assoluta tra le stanze e le fornaci della Fonderia.

Paradossalmente, questo sembra invitare ed invogliare eventuali spettatori-artigiani al riutilizzo di queste immagini come materia prima per nuove astrazioni, accostamenti, rovesciamenti, inganni. Il movimento ribollente e magmatico del film è così molteplice, centripeto e centrifugo insieme, interno ed esterno in ogni inquadratura: l’equilibrio trovato da Clerici a tutto l’armamentario immaginifico della sua opera è, tra tutti, proprio il movimento di cesellamento più sottile.

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