Il grande Gatsby, di Baz Luhrmann
Tutta l'essenza del cinema del regista australiano: esplosivo, senza mezze misure, continua illusione alimentata dal 3D. Come se si accendesse il proiettore dentro un cinema all'inizio degli anni Venti. Un film immenso, dove Leonardo Di Caprio giganteggia sotto ogni aspetto, tra melodramma, ganster-movie ed euforico musical
Strepitoso Luhrmann. Non solo Francis Scott Fitzgerald e il suo romanzo scritto tra il 1923 e il 1924 tra Long Island e Saint Raphael e già portato sullo schermo altre tre volte, tra cui la versione del 1974 da Jack Clayton con Robert Redford e Mia Farrow protagonisti. Ma soprattutto poderoso richiamo al periodo della Hollywood dell’età dell’oro, sospesa tra muto e sonoro, dove le parole dello scrittore Nick Carraway, che scorrono in sovrimpressione sullo schermo come note musicali, possono sembrare anche la creazione dello sceneggiatore che sta creando il suo film.
Dopo il più controllato Australia, Baz Luhrmann torna all’essenza del suo cinema, anzi condensa i movimenti scatenati e ritmati di Ballroom, gli incanti di Romeo + Giulietta e l’impressione che Leonardo Di Caprio e Carey Mulligan possano volare all’improvviso nell’aria senza avere più il terreno sotto i piedi come Ewan McGregor e Nicole Kidman in Moulin rouge. Anche quel film, come questo, aveva aperto il Festival di Cannes nel 2001. E come in quel caso c’è un’esplosione di colori come interminabili fuochi d’artificio, lo scarto tra l’ambientazione e alcune canzoni, missaggio continuo passato/presente tra JAY Z, Louis Armstrong, Alicia Keys e Beyoncé.
Una luce verde. Il miraggio di un cinema in cui ritornarci dal futuro, dove un immenso Di Caprio – il suo sorriso – sembra ritornare proprio dalle feste di Romeo + Giulietta e poi entrare successivamente nei territori del gangster-movie nel modo in cui cambia continuamente il suo viso, riuscendo qui a interpretare quasi il suo Casinò, cosa che non gli è ancora riuscita con Martin Scorsese. Giganteggia, diventa immenso duplicando quasi il Charles Foster Kane di Orson Welles in Quarto potere, immortalato come una divinità sullo sfondo dell’acqua e poi proiettato in un universo dove tutto luccica, diventa magico e poi evanescente, materializzando alla perfezione l’inafferrabilità del cinema, il desiderio di entrare dentro la storia e anche l’impossibilità di esserci. E dalle finestre su Parigi di Moulin rouge si viene catapultati in mezzo alla folla di New York. Con gli echi di quell’incessante movimento da King Vidor in La folla che però si appropria anche delle zone mélo del grande regista americano che si alternano alle tracce documentarie e alle ombre dei frammenti di guerra.
In più The Great Gatsby è continua illusione, ritorno già dichiarato all’epoca in cui è ambientato il film già in quella luce debole come quella di un vecchio proiettore che anticipa proprio in apertura il logo della Warner. E oltre il mélo e il gangster-movie il film attraversa di nuovo i territori di un euforico musical dove lo spazio, esteso dal 3D, appare immenso. Anzi è un continuo set mobile che ne apre in continuazione anche altri. L’eccesso è totale, la mancanza di misura pure. Ma è questa tutta la grandezza del cinema del regista australiano, lavorando in maniera sublime sugli oggetti che diventano elementi rivelatori delle azioni dei personaggi e che contribuiscono a rendere il film ancora più forsennato, con l’uso delle porte che potrebbero arrivare dal cinema di Ernst Lubitsch ma che qui girano a velocità impazzita.
E in mezzo a questo incanto che si sa che dura poco ma che si vorrebbe prolungare all’infinito, ci sono due elementi che invece provocano improvvisi risvegli. Uno lascia piombare in un’altra dimensione incantata, quel bosco dove avvengono gli incroci tra Nick e Gatsby, quasi un luogo magico di derivazione cartoon. L’altro invece è decisamente un più violento ritorno alla realtà, o meglio la possibilità di un ritorno alla realtà che si cerca continuamente di rimandare. Ciò avviene ogni volta che il telefono squilla. E questo è l’esempio di una colonna sonora (musica e rumori) che è un’altra sceneggiatura di un film davvero immenso, che dimostra come il cinema di Luhrmann, quando ne ha la possibilità, non si ferma davanti a niente.
Titolo originale: The Great Gatsby
Regia: Baz Luhrmann
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey Mulligan, Joel Edgerton, Isla Fisher, Jason Clarke, Adelaide Clemens, Elizabeth Debicki, Amitabh Bachchan, Callan McAuliffe
Origine: Australia/USA 2013
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia
Durata: 143′
Luhrmann si conferma regista insopportabilmente cafone e kitsch. Dov'è lo spirito del capolavoro di Fitzgerald? Perduto dietro a movimenti di macchina vorticosi e ritmo ubriacante. Ci sarebbe voluto un P.T. Anderson per avere finalmente una bella versione di Gatsby al cinema. Ai "gggiovani" cmq dovrebbe piacere…
Il cinema dovrebbe sempre essere fatto per piacere ai giovani. ed è il motivo per cui quello italiano da anni fallisce: si rivolge a un pubblico che non va al cinema (50/60enni). @Giulio: dici "ritmo ubriacante", come se tutto il romanzo di Fitzgerald non si potesse riassumere in quelle due parole. Ritmo cioè la velocità. Ubriacante cioè l'era del whisky. Hai colto il senso di tutto il film. Ebbrezza….
velocità senza profondità è pura masturbazione
Poi se vogliamo dirla tutta, ai giovani piace anche siani o bisio, starei attento ad associare la qualità e la bellezza ai gusti imperanti del momento…
Gatsby come Kane???Ragazzi qui si bestemmia!!
Veramente pessima questa versione. Dov'è la magia descrittiva con cui Fitzgerald racconta i suoi personaggi? Dov'è l'analisi sociale? Dov'è la frivolezza di Daisy? Non basta far dire che "Loro sono marci", bisogna mostrarlo, il cinema è immagine. Mulligan non all'altezza, Maguire pessimo come sempre, sbagliato completamente l'attore che fa il marito di Daisy, sembra un vaccaro del Texas, e non un wasp. Bisogna avere molto coraggio, o forse malafede, a dire che questa è una bella versione del grande gatsby.
Evviva il coraggio!!!!! Il cinema é immagine. Mulligan strepitosa Maguire strepitoso come sempre, perfetto l'attore che fa il marito di Daisy…. È che dire della magia descrittiva che riprende perfettamente Fitzgerald? E la frivolezza profonda e sensibile di Daisy? E l'analisi sociale che sta tutta nelle immagini, nei colori che cambiano, nelle corse in auto dentro lo scontro di classe? Bisogna avere malafede a dire che questo non é un capolavoro.