Il grande salto, di Giorgio Tirabassi
L’esordio registico di Tirabassi passa per una storia di periferia che volge lo sguardo ai padri della commedia all’italiana. Due criminali provano a fare il colpo della vita ma qualcosa va storto
Rufetto e Nello sono alla canna del gas. Una vita di stenti, di furtarelli ed espedienti per tirare a campare. Rufetto (Giorgio Tirabassi), che ha pure famiglia ed è così scannato da vivere in casa dei suoceri, si è fatto già 4 anni di galera e per lui trovare un lavoro onesto è questione ancor più complicata. Allora, insieme a Nello (Ricky Memphis), decidono che è ora di dare una sterzata decisa alla loro carriera di malviventi, passando dalle rischiose scorribande tra il tabaccaio e la frutteria a qualcosa di più complesso: svaligiare un ufficio postale.
Nei primi momenti di Il grande salto riverrebbe da pensare a quella scena di Romanzo Criminale – La Serie, in cui Bufalo e Il Freddo, pronti a rapinare un camion pieno di pellicce, si fermano sul più bello perché «ormai semo criminali».
Rufetto e Nello aspirano a quel tipo di modello, cercano il modo di fare il salto di qualità che gli permetta di entrare nella malavita che conta.
A dire il vero però in questo esordio cinematografico di Giorgio Tirabassi c’è tutto fuorché l’estetizzazione della violenza, né tantomeno la riscrittura epica di una parabola criminale così come avviene nel gangster movie classico.
I modelli presi in considerazione in fase di sceneggiatura, firmata dal neo-regista assieme a Mattia Torre e Daniele Costantini, sono infatti quelli di un cinema più vicino, che rimanda con disinvoltura alla stagione della commedia all’italiana.
Tirabassi decide di spostarsi in una periferia romana poco riconoscibile negli ambienti ma ben tratteggiata nel suo essere verace, cinica, senza dubbio spietata. La scommessa era quella di prendere i set della recente borgata wave, mantenere intatta la missione documentaria di quei lavori e raccontare al contempo la dimensione tragica di certi fatti, attingendo però al registro della commedia.
Ed è una risata sincera quella di Il grande salto. Tirabassi dimostra di aver rubato con gli occhi il lavoro dei grandi con cui è cresciuto (dai Citti a Gigi Proietti, ma anche il più recente Gaetanaccio teatrale sulla scia di Magni) e di saper raccontare il dramma tendendo bene in testa fatto preciso, e cioè che, come diceva Monicelli, la commedia è il cinema che inizi a fare quando diventi saggio.
Nello e Rufetto sembrano due brutti, sporchi e cattivi ancor più abbruttiti dalle contingenze contemporanee, dalla crisi economica, dalla televisione ancora oppio dei popoli come in un episodio de I mostri.
Come per Non ci resta che il crimine di Massimiliano Bruno, anche per Il grande salto il rimando a certi stilemi narrativi potrà anche apparire naïf, ma si tratta comunque di una scelta puntuale, consapevole, che non obbedisce necessariamente alla clausola di far cassa a tutti i costi.
Forse è questo il vero grande salto che certo nostro cinema dovrebbe provare a fare, magari provando a fare proprio come Tirabassi. Che nel salto in lungo sembra saperci fare già alla prima prova.
Regia: Giorgio Tirabassi
Interpreti: Giorgio Tirabassi, Richy Memphis, Roberta Mattei, Gianfelice Imparato, Paola Tiziana Cruciani, Marco Giallini, Pasquale Lillo Petrolo, Valerio Mastandrea,
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 94′
Origine: Italia, 2019
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani