Il nuovo sur-western: The Hateful Eight, di Quentin Tarantino

Il carnage è servito in una teatrale merceria western con un cast stellare, o meglio da star wars, poco dopo la fine della Guerra civile. E la black comedy sembra più influenzata dalla letteratura

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Com’è nel (non)stile di colui che non cita il cinema, non lo prende, lo ruba e lo mangia, dopo il vomito, arrivano i sudori, o meglio, si trasuda. È probabilmente la lenta metamorfosi che sta manifestandosi nel cinema e all’immaginario tarantiniano. Otto maledetti personaggi in cerca d’autore (e Pirandello c’entra e come…), per otto maledetti film. Un personaggio per ogni fatica, in attesa di chiudere la carriera a dieci (piccoli indiani…). Da sempre Tarantino ha vomitato cinema, si è fatto trapassare da ogni sorta di espressione visiva e letteraria pulp, pop, post. Oggi è il tempo di trasudare pericolo, angoscia, attraverso una ragnatela di azioni, sensazioni, emozioni. Il carnage è servito in una teatrale merceria western con un cast stellare, o meglio da star wars, poco dopo la fine della Guerra civile, tra una “lettera di Natale” scritta da Lincoln, flashback e salti cronologici tipici, dialoghi da Django, giustizia e razionalità, Morricone senza armonica e crocefissi nella bufera di neve (e che non sia una croce continua fino al decimo e ipotetico ultimo film, come quella che apre e chiude quest’ultimo o quella metaforica dei “confederati”, più svastica che croce…)

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tim roth, kurt russell e jennifer jason leigh in the hateful eightThriller, horror, splatter, politica razziale. Il corpus unitario ha ricevuto un’altra pallottola in testa, e sembra portare agli estremi teorici due tematiche fondamentali della poetica: la rappresentazione della violenza e il rapporto con la cultura popolare. Da un lato, una attenta panoramica sulla storia della violenza nel cinema, dall’altro, un’analisi della perfetta consapevolezza, da parte dell’autore, dei gusti e delle reazioni del pubblico. Se Tarantino si dichiara innamorato della violenza sullo schermo, e soltanto sullo schermo (e il sintetico excursus sull’approccio al medesimo tema nei suoi autori di riferimento offre il perfetto corollario a quest’affermazione), sa intuire che quegli spettatori affamati di storie di “pallottole in testa” sono gli stessi che inseguono uno stile di vita in cui le questioni del gusto culturale di massa, di quello che conosci, che hai visto o sentito, di quello che ti piace o non ti piace, hanno un significato supremo. Su questo “spettatore masochista consenziente”, il cinema di Tarantino crea una presa sadica che corre dai lunghi momenti di attesa prima di un’azione violenta ne Le iene fino alla sequenza iniziale di Bastardi senza gloria. L’iperrealtà, in cui non vi è né finzione né realtà, ma solo un offuscamento di entrambi, riceve in questo set un’attenzione costante. Non è però la strada a rappresentare l’unico vero piacere dell’oggi, cioè mantenersi in movimento, e il muoversi velocemente equivale alla volontà di dimenticare; il cineasta celebra invece questo piacere grazie alla quintessenza dell’iperrealtà che pervade tutto: i suoi otto maledetti personaggi, “bloccati dalla tempesta”, esplorano continuamente immagini, simulazioni della storia del cinema e le simulazioni di queste simulazioni. È proprio la fantastoria tarantiniana a consentire di cogliere appieno tanto il quadro di riferimento storico quanto l’attualizzazione della storia.

the hateful eightStavolta sembra interessare in forma più marginale la destrutturazione del cinema di genere, la trasgressione/rivisitazione del genere, per condensare più decisamente alcuni punti cardinali della tradizione noir, seguendo il magistero di Jean-Pierre Melville, passando per il sapiente uso che il regista fa dei suoi attori come interpreti e come icone, passando per il particolare rapporto tra immagine e suono (in primis da Kill Bill) e le ricorrenti ossessioni simboliche legate ai luoghi. abiti, oggetti. È vero però, che allo stesso tempo, la portata teorica e autoreferenziale di quest’ultima opera rischia di confinare ai margini dell’attenzione le immagini e il testo. Ma qui invece sembra sentirsi ancora più forte la formula pirandelliana: artificializzare al massimo la riproduzione del reale per enfatizzare complessità e assurdo, e promuovere il distanziamento con il meccanismo di sdoppiamento dell’ironia. E la black comedy di fondo, paradossalmente, pare stavolta maggiormente influenzata dalla letteratura che dal cinema stesso: Faulkner, Salinger, Elmore Leonard, Raymond Chandler… e soprattutto Edward Bunker, fin quando si “tocchi” la storia con i propri occhi, si saldi ancora più profondamente l’esperienza del nostro sguardo alla carne delle immagini.

Titolo originale: id.
Regia: Quentin Tarantino
Intepreti: Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Walton Goggins, Jennifer Jason Leigh, Tim Roth, Zoe Bell, Michael Madsen, Bruce Dern, Demian Bichir, Dana Gourrier, James Parks, Channing Tatum
Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 182′
Origine: Usa 2015

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