"King Arthur", di Antoine Fuqua

Non c'è spazio per singolar tenzoni alla "Troy", anche se Artù odora di leggenda e semi-divinità come Achille, ma senza handicappante tallone. Il kolossal ante-medioevale di Fuqua se visivamente sa dominare l'incandescente materia sociologica e ambientale, non possiede tutti i visi e i corpi attoriali giusti per convincere e coinvolgere fino in fondo

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Attorno alle tavole rotonde siamo abituati a vedersi compiere evocazioni spiritiche, ma se ci sforziamo un pò forse ci viene in mente anche il leggendario Artù col suo seguito di eletti cavalieri. Due tavole che forse non sono così distanti tra loro, tanto sono imbevute di credenze, magiche atmosfere e ricordi che si perdono e si confondono nel mistero della leggenda… che potrebbe, appunto, anche essere storia. Fuqua, avallando a difesa scientifica una non meglio specificata teoria storicistica nei titoli di testa, trasla all'indietro nel tempo le vicende del condottiero dall'età cortese a quella del basso impero romano, facendone il servitore fedele di una Roma-modello di democrazia che forse non è mai esistita e certamente non è sopravvissuta invischiata nel declino del V° secolo d.C., accompagnato da uno stuolo di fedelissimi che è impossibile non rimandare ad una "sporca dozzina" aldrichiana, con retrogusto quasi hawksiano nel descrivere l'amicizia virile e le sue schermaglie nella comunanza d'intenti passionali profusi a favore del senso del dovere e della professionalità. Non c'è spazio per singolar tenzoni alla Troy, anche se Artù odora di leggenda e semi-divinità come Achille, ma senza handicappante tallone. Il kolossal ante-medioevale di Fuqua se visivamente sa dominare l'incandescente materia sociologica e ambientale, non possiede tutti i visi e i corpi attoriali giusti per convincere e coinvolgere fino in fondo. L'Artù di Clive Owen oltre che muscolosamente monolitico è decisamente monocorde e il vitale rapporto con Lancillotto è semplicisticamente sfilacciato lungo il racconto e fa vacillare la sostanza di ciò che viene messo su schermo e assieme a idee a dir poco discutibili quali la forza guerriera e le nozioni d'arti marziali profuse dalla fascinosa Ginevra di Keira Knightley (Sognando Beckham, La maledizione della prima luna) che sfata troppo brutalmente lo stereotipo della damigella bella, fragile e pavida mette la pulce nell'occhio all'osservatore attento dei credits che scova il nome che gli ronzava in mente, quello del produttore re Mida dell'action Jerry Bruckheimer, che talvolta esagera in arditezze d'impianto (spostare indietro la vicenda di così tanti secoli) e di caratterizzazione dei personaggi, anche se stranamente non impone il caratteristico ritmo convulso (suo vero e proprio marchio di fabbrica) mettendosi piuttosto al passo con la più pacata artigianalità guerresca in campo. Azzeccate comunque alcune zampate come il Bors al quale da vita un dilagante Ray Winstone (Ladybird ladybird, Niente per bocca, Zona di guerra, il duello con Kingsley in Sexy beast), brutale col nemico quanto schiettamente dolce con la sua famiglia di piccoli "bastardi", soggiacente all'autorità dell'ufficiosa moglie e capace di tenere alto il morale dell'amato gruppo con la sua tagliente ironia, ma anche la battaglia sul ghiaccio è piuttosto emozionante, ben girata e montata senza la salutare tendenza a voler strafare. Ovviamente quella classica, girata d'estate utilizzando lastre artificiali da Ejzenštejn in Aleksandr Nevskij è un altro paio di maniche.

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Titolo originale: id.


Regia: Antoine Fuqua


Interpreti: Clive Owen, Keira Knightley, Ray Winstone, Stellan Skarsgard, Ivano Marescotti, Lorenzo De Angelis


Distribuzione: Buena Vista International


Durata: 125'


Origine: Usa, 2004

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