La corrispondenza, di Giuseppe Tornatore
La struggente storia d’amore a distanza tra il maturo professore e la sua bella studentessa-stunt è l’ennesimo stanco episodio di una narrazione che vive pigra sugli agi di una solida reputazione.
Senza fiato. Non c’è più un respiro vitale nel cinema di Giuseppe Tornatore. La sua gloriosa carriera, impreziosita da un soddisfacente riconoscimento internazionale, sembra ormai essere entrata nelle secche dell’immaginazione, in uno stato vegetativo che, in un’alternanza stanca tra la solare Sicilia d‘amarcord (dove rielaborare la propria biografia e ricordi d’infanzia) e un plumbeo Nord (Italia o Europa) scenario di tragedie sentimentali dal gusto polanskiano, dimostra uno scontato e ripetitivo bipolarismo. La struggente storia d’amore a distanza tra il maturo professore d’astrofisica Ed (Jeremy Irons) e la sua bella studentessa-stunt Amy (Olga Kurylenko), nell’ultimo La corrispondenza, è l’ennesimo episodio di una narrazione che vive pigra sugli agi di un talento visivo innegabile e su una solida e venerabile reputazione. Purtroppo i tempi emotivi/emozionanti (e anche sinceramente imperfetti) dei viaggi nostalgico-onirici nel passato di Tornatore, hanno lasciato spazio a una ricerca ossessiva, in sceneggiatura, del meccanismo oliato.
Il lato oscuro del regista è sempre stato evidente, sin dal suo esordio con Il Camorrista, ma dopo il successo del film da cronaca nera/vera La sconosciuta, il suo interesse verso il cupo, il non-conciliante, si è andato a scontrare con una concezione sensazionalistica (colpi di scena, rimandi e riferimenti continui, ingranaggi di scrittura perfetti) di script che guardano fastidiosamente al peggior cinema hollywoodiano. Anche questa torbida storia d’amore assoluto, quest’esaltazione di un sentimento che si fa eterno, rimane incastrata in una prigione fatta di monologhi. Tornatore perde completamente d’occhio il genuino cuore melò del suo racconto, costringendo i due protagonisti (mai in parte, senza alcuna alchimia fra loro) a rimanere schiacciati sullo schermo, figure bidimensionali tra tante altre. Anche nei brevi momenti in cui la rete del regista sembra allentarsi, lasciando respirare finalmente il dolore della sua eroina, l’esito è, alla fine scontato, un ritorno al regime di una confezione mortifera fatta dal suo repertorio: i movimenti di macchine, le note di Morricone, il tono magniloquente delle battute, etc. Se la mano pesante di Tornatore nei suoi film più riusciti è ben nota e, in qualche modo, anche apprezzata (nessuno pretende di trovare la leggerezza di un Richard LaGravenese) non capiamo la direzione intrapresa dalla sua filmografia recente, troppo concentrata a rincorrere spunti (non)originali e vecchie idee superate da anni. La prova è nelle trovate più convincenti, meritevoli forse di un approccio più sperimentale e audace, mortificate da una resa visiva stanca, da una vitalità che ha lasciato spazio all’appagamento artistico di un “venerato maestro”.
Regia: Giuseppe Tornatore
Interpreti: Jeremy Irons, Olga Kurylenko, Simon Anthony Johns, James Warren, Shauna Macdonald, Oscar Sanders, Paolo Calabresi
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 116’
Origine: Italia, 2015