La programmazione di Fuori Orario dall’11 al 17 febbraio

Rossellini/Welles, Pollet/Rocha e cinema italiano anni ’50 con Le amiche di Antonioni, Donne sole di Sala e Una donna libera di Cottafavi

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Domenica 11 febbraio dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste 2023/2024

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

CINEMA ANNI VITA – 5. NEL SEGNO DI PROMETEO: ROSSELLINI E WELLES

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

L’INDIA VISTA DA ROSSELLINI

(Italia 1959, b/n’, dur., totale 98’)

Regia: Roberto Rossellini

Reportage realizzato da Roberto Rossellini in India tra il 1957 e il 1958 e trasmesse in dieci puntate nell’ambito de “I viaggi del Telegiornale” tra gennaio e marzo del 1959. Ben prima dei Beatles e dei poeti Beat, Rossellini svela i segreti del continente in mutazione dopo la liberazione dai coloni inglesi.

Il viaggio in India segna la fine del “periodo Bergman” e apre un tempo “nuovo” nell’opera di Rossellini, a partire dall’utilizzo del mezzo televisivo e di attrezzature più leggere e dinamiche che cambiano il suo modo (non il metodo) di fare cinema. Nella notte le puntate: Le lagune del Malabar; Il Kerala; Hirakound; Il Pandit Nehru.

NELLA TERRA DI DON CHISCIOTTE (puntate 1, 2, 3 e 4)   durata 100’ca.

(Edizione 2005 curata e voluta da Enrico Ghezzi e Ciro Giorgini) 

(Italia, 1961, b/n, 9 puntate per complessivi 227’44”)

Regia: Orson Welles

Realizzazione: Enrico Ghezzi e Ciro Giorgini

Con: Orson Welles, Paola Mori, Beatrice Welles

1 puntata: Itinerario andaluso, dur., 27’

2 puntata: Spagna santa, dur., 22’

3 puntata: La feria di San Firmin, dur. 26’08”

4 puntata: L’encierro di Pamplona, dur, 25’43”

In vista del film che progettava di realizzare su Don Chisciotte, Welles fece un lungo viaggio in Spagna insieme alla moglie Paola Mori e alla figlia Beatrice. Girò per la RAI una sorta di diario in nove parti. Non avendo registrato alcun commento, consegnò alla RAI solo i negativi, corredati di una colonna sonora fatta di musiche e rumori. La RAI mandò in onda le nove puntate aggiungendo un commento fuori campo. Questa versione fu riscoperta da Marco Melani e Enrico Ghezzi e mandata in onda a Fuori Orario. Nel 2005 Ciro Giorgini e Enrico Ghezzi ripristinarono il materiale originali, ristampando il film da negativo ed eliminando il commento aggiunto nel 1962. Questa nuova edizione mandata in onda su Fuori Orario è stata presentata in prima internazionale al Festival di Locarno nella Retrospettiva dedicata a Orson Welles.

 

Venerdì 16 febbraio dalle 1.40 alle 6.00

CINEMA ANNI VITA – 6. ELOGIO DELL’INFINITO       

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto 

CONTRETEMPS   

(Francia, 1988, b/n e col., dur., 101’, v.o. sott., it.)

Regia: Jean-Daniel Pollet

Con Contretemps, film unico nella storia del cinema, stupefacente e misconosciuto, Pollet compie un lavoro di distruzione e di ricomposizione delle sue opere precedenti, realizzato insieme alle persone che gli sono più vicine, il musicista Antoine Duhamel, gli scrittori Philippe Sollers e Julia Kristeva, la montatrice Françoise Geissler. A partire da brani di Méditerranée, Bassae, La Femme au cent visages, Les Morutiers, Pour mémoire, L’Ordre (oltre che da Skinoussa, paysage après la chute d’Icare di Jean Baronnet), crea un film totalmente nuovo, in cui attraverso un lavoro magistrale di montaggio tutte le sue immagini precedenti entrano in un altro gioco, vorticoso, grandioso, a spirale. Una riflessione sul tempo, la differenza e la ripetizione, la luce, la melodia, in cui si inseriscono le riflessioni di Sollers e Kristeva e la musica di Duhamel.

“Con Contretemps ho fatto una specie di testamento. Dopo due rifiuti dell'”avance sur recette” per Tunc di Lawrence Durrell, che cosa potevo fare? Avevo un vecchio tavolo di montaggio che mi seguiva da sempre. Scompongo i miei film. Mi metto a fare ciò di cui avevo voglia da un pezzo: passare dai cinquanta minuti di Méditerranée a un film-saggio di un’ora e cinquanta”. (J.-D. Pollet, 1989).

«Ormai i film bellissimi (tra i più belli degli ultimi  anni) frutto del lavoro di ripensamento e di riscrittura operato da diversi autori con frammenti dei loro film precedenti (o anche con film interi), sono tanti, uno diverso dall’altro, e solo apparentemente «testamentali», anzi animati da un’energia che saltella e danza agilmente  sui dislimiti di metamorfosi cosmiche: da Paulo Rocha  a Julio Bressane, da Ivan Cardoso a Andrea Tonacci, da Jean-Marie Straub  a Jonas Mekas   Un movimento che era stato preannunciato fin dal 1988  proprio da Pollet  in  Contretemps, il cui titolo polisenso (musicale ma non solo) può forse riunirli tutti» (Roberto Turigliatto).

A breve, nello stesso ciclo, Fuori Orario presenterà anche Histoire(s) du cinéma di Jean-Luc Godard, l’autore che nel lavoro di montaggio e rimontaggio si è spinto più oltre di tutti.

SE FOSSI UN LADRO…RUBEREI            

(Se eu fosse ladrão… roubava, Portogallo, 2013, b/n e col., dur., 84’, v.o. sottotitoli italiani)

Regia: Paulo Rocha

Con: Luís Miguel Cintra, Isabel Ruth

«Negli ultimi anni della sua vita Paulo Rocha aveva immaginato una sorta di “ultimo film”, che portasse a compimento la sua opera. Basata sulle memorie della vita del padre che era emigrato in Brasile, ambientato agli inizi del secolo a Porto e nel Furadouro, era anche un modo di tornare sui luoghi della sua infanzia, dove aveva girato Mudar de vida: il   mondo contadino ancestrale, la vibrazione dei corpi nel paesaggio, il passaggio delle generazioni, il ciclo della nascita e della morte, la tensione escatologica verso un altro mondo.  Vi aveva riunito i suoi attori (da Isabel Ruth a Luís Miguel Cintra, e la più giovane Joana Barcia), insieme all’équipe degli ultimi film, da Rio do ouro a Vanitas, e la fotografia di Acácio de Almeida. Terminato poco prima della morte del suo autore il film è un vero miracolo, una grande riuscita artistica, molto più che una ricapitolazione di tutto il suo cinema: piuttosto una nuova metamorfosi cosmica della sua mitologia poetica. Jorge Silva Melo lo definisce “un immenso addio”, “un film estremamente commovente, doloroso, realizzato alla frontiera della morte, filmato in modo magistrale”.  Della sceneggiatura Rocha aveva girato solo una parte (con sequenze stupende, tra cui quelle con Isabel Ruth sulla stessa spiaggia di Mudar de vida che sembrano scaturire da un’esperienza spiritica). Ben presto nella sua mente si era fatta avanti l’idea di montare insieme al nuovo girato estratti dai suoi film precedenti secondo un’idea di rimontaggio operata sul corpo dei propri stessi film. Questo film magnifico ed unico riunisce due pulsioni fondamentali del regista: la poetica visionaria del narratore, con le sue infinite storie popolate dai fantasmi e dalle memorie del luogo, e il “collage” modernista, plastico e pitturale dell’ artista d’avanguardia. » (Roberto Turigliatto)

 

Sabato 17 febbraio dalle 1.00 alle 7.00

A CAVALLO DEI ’50 – nel boom dipinto di boom (1)

a cura di Paolo Luciani

Per alcune sere di Fuori Orario presentiamo coppie di film che siano in grado di documentare i cambiamenti in atto nella società italiana tra il 1948 (anno della sconfitta elettorale delle sinistre) e tutti gli anni ’50, caratterizzati dal centrismo democristiano, ma, anche e soprattutto, da una ricostruzione post-bellica accelerata che conduce al boom economico ed al suo rapido sfiorirsi.

Sono gli anni in cui si stratifica la realtà italiana, quella di “un paese mancato”; non basteranno le lotte sindacali e sociali del decennio successivo, insieme al raggiungimento di poche, ma importanti riforme sui diritti di tutti, ad allineare il paese su standard di modernità, ancora oggi irraggiungibili.

Cinematograficamente siamo tra la crisi del neorealismo e l’esordio di grandi personalità (Antonioni, Fellini) insieme al persistere e al mischiarsi di nuove figure professionali (attori, registi, sceneggiatori, quadri tecnici) con quelle ancora provenienti dalle esperienze del cinema del ventennio. Di fatto, dal dopoguerra alla metà dei ’50, prende forma “il pubblico cinematografico italiano”, costruito sul consumo di una produzione nazionale ancora molto diversificata. Resistono tutti i filoni ed i generi: il neorealismo popolare come quello rosa, il film d’avventura e il film opera, il cinema comico attoriale come quello d’autore. Ma abbiamo anche la nascita della commedia all’italiana e l’inizio del peplum, la presenza hollywoodiana a Cinecittà e quello che sarà il cinema dei grandi produttori italiani degli anni ’60, insieme a realtà come “il cinema napoletano”. Su tutto, poi, si stende una cappa censoria che non risparmia nulla. Le produzioni devono combattere contro l’invasione del prodotto hollywoodiano, facendo ancora ricorso a un mercato di esercizio che vede durare anni lo sfruttamento di un film, con stadi diversi di programmazione, in grado di raggiungere gli strati più profondi del paese: quello che farà la televisione, da lì a pochi anni.  Insieme al cinema e alla radio si affermano nuovi media, non solo la TV, ma la pubblicità, la stampa di partito, il fotoromanzo, le riviste di costume illustrate. Dopo il voto alle donne abbiamo una scolarizzazione finalmente di massa. Quella che viene chiamata una mutazione antropologica del paese si manifesta anche con i bisogni che moltiplicano le occasioni del nuovo consumismo, come di una normale, anche se caotica, evoluzione dei costumi. L’auto per tutti, le vacanze di massa, la moda e il nuovo divismo femminile, i concorsi e le manifestazioni, siano esse canore, di bellezza, letterarie, d’arte. Nella consapevolezza comune emergono e si differenziano economicamente e culturalmente composizioni diverse della società, con nuove problematiche anche esistenziali. Ed il nostro cinema è presente e dà conto di questi mutamenti, con alcune costanti che si possono far risalire alle radici profonde della nostra storia: amor di patria -spesso vissuto come a fare ammenda di non encomiabili responsabilità storiche più o meno recenti- una tendenza costante al tragico e al comico, dove far annacquare tendenze inespresse alla rivolta e alla consapevolezza di sé. Ma, soprattutto, la costante narrativa con cui il nostro cinema sembra fare i conti, è condizione familiare, meglio quella della donna, costretta e raccontata in un’emancipazione troppo lenta, sia essa madre, lavoratrice o “donna libera”.

LE AMICHE

(Italia, 1955, b/n, dur., 99′)

Regia: Michelangelo Antonioni

Con: Eleonora Rossi Drago, Gabriele Ferzetti, Franco Fabrizi, Valentina Cortese, Yvonne Fourneax, Madeleine Fischer, Anna Maria Pancani, Ettore Manni

“Sullo sondo di una Torino brumosa ed industriale, la storia di Clelia, una giovane romana che si trasferisce al nord per organizzare la succursale di una casa di moda, si mescola con le storie particolari di un gruppo di donne annoiate e superficiali, che giocano con i sentimenti e gli affetti più intimi, fino a causare il suicidio di una di loro”. (estratto da Catalogo Bolaffi del cinema  italiano)

“… i drammi che si svolgono su questi sfondi hanno di preferenza un protagonista femminile. Ciò conferisce loro un carattere più struggente, pur nel richiamo a circostanze sociologiche precise. Il nucleo tematico è costituito infatti da un’impossibilità di continuare  a riconoscersi nel ruolo tradizionale della femminilità casalinga, dopo che un mutamento di condizione o di stato è intervenuto nella vita del personaggio; la Paola di CRONACA DI UN AMORE ha sposato un industriale, mentre l’ex innamorato è rimasto un povero diavolo senza speranze e senza volontà; la Clara de LA SIGNORA SENZA CAMELIE è diventata una attrice di cinema; la Clelia de LE AMICHE è una self made woman, con un amante non solo socialmente, ma anche culturalmente inferiore a lei. Antonioni intreccia dunque il motivo dell’emancipazione a quello dell’ascesa dai ceti popolari ai borghesi. … al regista interessa non tanto il punto di partenza, ma quello di arrivo: il discorso verte  solo sul prezzo che la donna paga per il suo inserimento nell’ordine borghese moderno, in termini di insicurezza affettiva”. (Vittorio Spinazzola, CINEMA E PUBBLICO, 1945/1965)

DONNE SOLE

(Italia, 1956, col., dur., 88′)

Regia: Vittorio Sala

Con: Eleonora Rossi Drago, Luciana Angiolillo, Ettore Manni, Antigone Costanda, Gianna Maria anale, Paolo Stoppa, Evi Maltagliati, Enzo Garinei

Film di culto per il rapporto tra cinema e moda; tutte e quattro le interpreti femminili hanno avuto a che fare, nella vita reale come nella finzione cinematografica, con il mondo della moda; di più, la Rossi Drago, la Canale e la stessa Costanda hanno partecipato o tentato di partecipare a concorsi di bellezza; così che più che la trama del film – tre ragazze  che cercano di sfuggire ad una condizione sociale non più accettata con l’evoluzione  delle condizioni di vita del paese, è la costruzione del film stesso ad essere un documento speciale del mutare dei  costumi.

UNA DONNA LIBERA

(Italia, 1954, b/n, dur., 93′)

Regia: Vittorio Cottafavi

Con: Francoise Christophe, Pierre Cressoy, Christine Carere, Elisa Cegani, Gino Cervi, Lianella Carell, Galeazzo Benti, Barbara Florian

Liana è una ragazza benestante, bella, intelligente e laureata in architettura, una donna moderna che vuole raggiungere una desiderata indipendenza. Annulla di punto in bianco il suo previsto matrimonio, per vivere una travolgente storia d’amore con un musicista. Ma questo presto l’abbandona, giustificandosi che la musica è la cosa più importante per lui…Liana si trasferisce così a Parigi, dove prende a frequentare gli ambienti intellettuali della città; qui conosce  un ricco armatore che poi sposa e da cui si separa subito,  dopo avere incontrato per caso il suo antico amante e tentato di riaccendere la relazione con lui. Ma quando scopre che questo è un semplice dissoluto e sta per insidiare la sua sorella minore, è pronta ad un gesto estremo…

Il più celebrato melò di Cottafavi, quello che sembra maggiormente e consapevolmente evidenziare tutti i meccanismi del genere, prosciugandoli internamente con una messa in scena che anticipa Fassbinder. Il tutto grazie anche ad un personaggio femminile assolutamente innovativo, una donna libera, appunto.

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