“Las Acacias”. Incontro con Pablo Giorgelli

pablo giorgelli

A due anni di distanza dalla prestigiosa Camera d'Or, premio alla miglior opera prima al Festival di Cannes 2011, Las Acacias arriva nelle sale italiane, dopo aver conquistato ben 30 premi in vari festival nel mondo. Presenti iall'incontro il regista e Paolo Minuto di Cineclub Internazionale Distribuzione.

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Las AcaciasA due anni di distanza dalla prestigiosa Camera d'Or, premio alla miglior opera prima al Festival di Cannes 2011, e dopo aver conquistato ben 30 premi in numerosi festival, arriva nelle sale italiane Las Acacias. Un camionista deve trasportare una donna che non conosce, madre di una piccola bambina, dal Paraguay a Buenos Aires: 1500 chilometri da percorrere insieme.

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Presenti all'incontro al teatro Ambra di Roma Pablo Giorgelli, regista del film, e Paolo Minuto di Cineclub Internazionale Distribuzione (Aspromonte e The Parade – La sfilata).


 

Perché il riferimento alle acacie nel titolo?

Le acacie compaiono nella prima scena e nel finale, il camion guidato da Rubén (German de Silva) ne trasporta i tronchi. Sono passati cinque anni dalla prima idea del film, solo due sono stati necessari per scrivere. Las Acacias inizialmente era solo un titolo di servizio, la verità è che non volevo che il titolo svelasse la storia del film. E poi c’è tutto l’aspetto metaforico: Rubén è come un’acacia, è duro, ha una corazza spinosa, non ci si può aggrappare su di lui. Inoltre, la cosa interessante è che l’acacia non è un albero particolare, è comune, lo si trova ovunque.

 

 

Il titolo è stato mantenuto in tutti i paesi?

In tutti gli stati in cui è stato distribuito il film ha mantenuto questo titolo ad eccezione della Norvegia dove si chiama “On the road to Buenos Aires”.

 

 

La prova degli attori?

German de Silva (Rubén) è un attore di teatro, al cinema ha recitato soltanto in ruoli secondari. All’inizio volevo utilizzare un vero camionista, dopo sei mesi l’ho trovato ma non funzionava, poi in un casting ha incontrato lui. E’ stato facile lavorare con German perché ha subito capito com’era il personaggio e cosa volevo da lui.

Hebe Duarte (Jacinta) non è una vera attrice, l’ho incontrata in modo curioso: era l’assistente di produzione della persona che si occupava del casting in Paraguay: il suo compito era quello di trovare Jacinta e io ho trovato lei.

La piccola bambina Naia Calle Mamani (Anahi) si è rivelata sorprendente, l’ho trovata solo un mese prima delle riprese, inizialmente cercavano bambini particolari, magari guaranì visto che veniva dal Paraguay, e soprattutto volevo dei gemelli ma poi quando l’ha conosciuta è bastata lei.

 

 

pablo giorgelliE’ stato difficile lavorare con una bambina così piccola?

No, lei è stata magica. Molti momento sono stati spontanei, solo la scena dello sbadiglio è costruita, e tuttavia ha dimostrato di avere i tempi dell’attore: era facile seguire i suoi tempi, che poi coincidevano con quelli utili a me. La prima volta sono rimasto impressionato dal fatto che mi guardava dritto negli occhi senza alcun timore.

 

 

E il rapporto della piccola con Hebe Duarte?

E’ bastato un incontro e i tre sembravano già una famiglia.

 

 

A un certo punto nel film c’è una scena in cui il camionista Rubén si ferma vicino una sorta di piccolo santuario sulla strada, cos’è?

In Argentina c’è un protettore dei camionisti: El Gauchito Gil, un bandito che è un vero e proprio santo pagano, una specie di Robin Hood. C’è un mito sulla sua storia e per le strade argentine ci sono questi santuari. Robén è un personaggio che non crede in niente, non ha religione, forse ha solo il Gauchito anche se in realtà scende dal camion e va lì soltanto per fumare, è un po’ una scusa anche se non completamente.

 

 

Il film ha seguito la sceneggiatura oppure vi siete affidati anche a ciò che capitava sulla strada?

Tutto è stato pensato e scritto, non è un lavoro documentaristico. Alcuni momenti sono spontanei, ma sono soprattutto quelli che riguardano la bambina. Al contrario, ho sottratto un po’ di scene dalla sceneggiatura, soprattutto quelle dei paesaggi che si vedevano dai finestrini perché ho preferito soffermarmi solo sulla relazione tra i tre personaggi. Ha tolto 30 minuti dalla prima versione definitiva.

 

 

las acaciasIl camion in cui i tre viaggiano non si vede mai, soltanto alla fine.

Era scritto: questo perché tutta la pellicola è basata sui personaggi e la loro relazione. Il paesaggio e tutto quello che c’è fuori lo si vede attraverso i loro occhi. Non è un road movie tradizionale perché è girato tutto all’interno del mezzo, con inquadrature ravvicinate. Voglio che il film sia visto attraverso gli occhi degli attori e non quello del regista.

 

E’ stato facile realizzare le inquadrature all’interno del camion?

Sembra un film molto facile da realizzare ma in realtà non lo è affatto. Sembra che ci sia una camera invisibile nel camion e invece ci sono tante macchine e tante auto intorno che riprendono quello che in realtà non è un vero camion: è una sorta di teatro di posa insonorizzato. Effettivamente e cronologicamente abbiamo percorso questa strada dal Paraguay all’Argentina. Ho filmato in cinque settimane, poi sono seguiti otto mesi di montaggio fatto a casa insieme a mia moglie.

 

 

E per quanto riguarda il suono? E’ un film apparentemente silenzioso che invece risulta assordante, ci sono suoni provenienti dappertutto, è come se il pubblico potesse ascoltare ciò che i due protagonisti non dicono ma che si portano dentro.

Importante è stata la fase del montaggio. Ci sono voluti molti mesi per ricostruire il suono dal momento che non abbiamo usato un vero camion. L’unico suono in presa diretta sono i dialoghi dei due attori che si trovavano in una cabina insonorizzata, tutto il resto è stato aggiunto in postproduzione.

 

 

Come mai non c’è musica?

Non c’è musica nel film ma non perché non mi piaccia, non escluso di utilizzarla in film futuri, semplicemente perché la musica marca molto stati d’animo e sensazioni invece io volevo lasciare spazio al silenzio. Che poi in realtà è un silenzio solo narrativo: è un uomo che non può comunicare e che invece poco a poco si apre. L’incapacità di esternare sentimenti è il cuore del film. Il silenzio è un suo disagio e questo è un film sulla paternità e sul disagio.

 

 

E poi c’è stata la Camera d’Or a Cannes nel 2011.

Alle fine del montaggio è successo un miracolo: il premio a Cannes. E’ stata una grandissima sorpresa perché si tratta di un piccolo film, pensavo che avrebbe trovato distribuzione soltanto nel circuito di Buenos Aires e invece, soprattutto in Francia dove poi è uscito in 70 sale, ha avuto un notevole successo all’estero. Avevo incontrato per caso con un uomo che lavora per il Festival di Cannes e gli avevo raccontato di avere una pellicola pronta. Questo ha chiesto di lasciargliela e poi.. ho vinto.

 

 

E in Argentina?

In Argentina, nonostante non avesse avuto un gran lancio pubblicitario, per due mesi si è sentito spesso parlare del film perché continuava a vincere premi, 30 in totale (tra gli altri: il premio della giovane critica per la Settimana della critica; il premio ACID/CCAS – Associazione registi indipendenti francesi; il premio come miglior opera prima al London Film Festival; e ancora premi al Festival di Biarritz, e al Bergamo Film Meeting 2012, dove ha conquistato il secondo premio n.d.r.).

 

 

E cosa ci dice il distributore?

Paolo Minuto: Siamo orgogliosi di aver distribuito questo film anche in Italia grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione, giovane realtà che ha già distribuito Aspromonte e The Parade – La sfilata e che sarà nelle sale nelle prossime settimane anche con il documentario Era meglio domani, presentato con successo durante l’edizione 2012 della Mostra del cinema di Venezia.

 

 

 

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