LOCARNO 66 – Inside/Outside: "Exhibition" di Joanna Hogg e "Gare du Nord" di Claire Simon (Concorso Internazionale)
L'inglese Joanna Hogg e la francese Claire Simon giocano su fronti opposti: se la prima lavora su un unico spazio chiuso, trovando in una casa di ispirazione lecorbusieriana la resa visiva di una crisi di coppia, l'altra immagina una brulicante stazione parigina, specchio della confusione e della solitudine di questi tempi
Se fosse declinato come racconto di genere, la casa protagonista di Exhibition di Joanna Hogg potrebbe benissimo entrare a far parte delle haunted mansions, di quei manieri infestati dotati di un'anima, che trovano il loro massimo esempio in Gli invasati di Robert Wise.
La regista inglese sembra ipnotizzata dalla presenza imponente e algida nel suo rigore geometrico dell'abitazione realizzata dal suo amico John Melvin, a cui il film è dedicato. La riprende con le angolazioni dal basso tipiche delle case stregate del cinema orrorifico/fantastico, come a sondarne il potere che il luogo sembra avere sui protagonisti, una coppia di artisti, concettuale lui performativa lei, che dopo 20 anni decidono di vendere, forse per dare nuovo slancio a una vita a due ormai raffreddata.
Quello di D. e H. (sappiamo solo le iniziali dei loro nomi), è un mondo quasi del tutto privo di esterni, vissuti come terreno di tensioni e pericoli mortali, in cui lo spazio abitativo, con le finestre a nastro che riflettono come schermi i momenti di intimità negata, o la scala a chiocciola, tortuoso elemento di congiunzione fra i piani in cui i due lavorano separati, fissa in termini puramente visivi la crisi coniugale.
La Hogg sfrutta il potenziale metaforico dell'architettura modernista per trovare una chiave di lettura originale a un tema abusato, trovando nei due artisti interpreti quasi dei co-autori. Exhibition vive in gran parte delle performance dell'artista Liam Gillick e della musicista Viv Albertine, la cui sorprendente naturalezza nell'essere filmati restituisce all'opera quello slancio vitale necessario a compensare la rigidità e la freddezza che l'ossessivo controllo del materiale da parte della Hogg conferisce al film.
Dall'altra parte della Manica lavora invece Claire Simon, che sembra riunire in Gare du Nord l'esperienza documentaristica e un fascino sempre più intenso per la 'finzione'. Certo, in questa immaginaria stazione parigina, dove si agita un'umanità stanca e soffocata dalle leggi del mercato, non si incontrerà la stessa vorticosa passione della giovane protagonista di Ça brûle, ma le traiettorie dei tanti personaggi che si incrociano lungo le scale mobili e i binari tradiscono comunque la voglia di abbandonarsi alle emozioni.
Dall'interno all'esterno: se la Hogg lavora su uno spazio chiuso, che col manifestarsi dell'incomunicabilità dei protagonisti si fa via via più asfittico, Claire Simon è invece totalmente aperta al mondo e sembra voler includere nel suo racconto ogni passante, ogni vita sfiorata, dalla commessa vittima dei logoranti contratti a progetto ai "ragazzi di vita", alle piccole gang di strada con un'etica da cattolicesimo benpensante. E forse, il limite che il film incontra, nelle sue due ore, è proprio quello di non volere e sapere rinunciare a nulla, né alla denuncia sociale celata dietro le storie individuali né alla rappresentazione di ogni dimensione della solitudine: dall'amore negato fra la protagonista Mathilde, Nicole Garcia, col suo giovane sociologo a quello spezzato dalla distanza forzata tra Joan e il marito disoccupato, che regala forse la scena più bella, quella classica e atemporale, dell'addio sul binario.