#Locarno68 – Martone incanta con la sua Pastorale cilentana

Un grande regalo del festival e del regista. Forse la conclusione di un’ideale trilogia dopo Noi credevamo e Il giovane favoloso con uno squarcio fordiano di prorompente intensità

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La conclusione di un’ideale trilogia dopo Noi credevamo e Il giovane favoloso? O anche un ritorno sui luoghi del suo monumentale film sul Risorgimento, dove si sente tutta la forza della terra e dell’aria, con immagini che sembrano arrivare da una dimensione pittorica ma possono anche prendere vita in ogni istante? È ambientato in un paesaggio agricolo a metà del XIV secolo ma potrebbe svolgersi in ogni luogo e in ogni tempo. Una famiglia contadina: madre, padre e il figlio Nino di 8 anni che porta ogni giorno al pascolo le capre. La vita è scandita da ritmi precisi: il rintocco delle campane, il fluire delle stagioni. Ma Pastorale cilentana, scritto con Ippolita di Majo (cosceneggiatrice anche di Il giovane favoloso) è anche un film epidermico come lo erano i due suoi precedenti grandissimi film; si sente addosso il calore dell’estate, il freddo del vento e della pioggia. Come se qualunque evento atmosferico potesse rompere gli argini dello schermo cinematografico e arrivarci direttamente addosso. Lo schermo appunto. Un film piccolo nella durata (19 minuti) ma invece grande proprio come dimensioni, concepito da Martone con il suo direttore della fotografia Renato Berta per il Padiglione 0 dell’Expo e da proiettare su una parete di 45 metri. Quindi da vedere oltre la sala cinematografica; in piedi, seduti per terra, in movimento attraversando l’immagine anche camminando.

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Frammenti sul rapporto uomo-natura, sul suo confronto, anche tecnico, con l’agricoltura e la pesca. Ma anche un collage di quadri viventi, segnati e definiti dai colori pastellati di Berta, dove nelle scene nel bosco si rintraccia quella purezza/essenzialità che sembra arrivare da Straub/Huillet. E poi arriva l’incanto di un presepe vivente, in continuo movimento, che cattua l’incanto dei primi sguardi e le prime emozioni (i bambini che si guardano), che fa parlare da soli il paesaggio e la natura senza dialoghi e solo con i suoi e i rumori, creando un concerto visivo-sonoro come solo in Italia Piavoli sa fare. E poi, dietro la serena quotidianità della famiglia, un taglio netto fordiano. Quella porta aperta dove sullo sfondo si vedono le capre, con la luce in profondità che crea un altro mondo, un altro sfondo, un altro cinema. I sentieri selvaggi di Ford attraversano anche il lontano e vicinissimo Medioevo di Martone. Che incanta e seduce. Un grande regalo di Locarno e del regista.

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