#Locarno68 – Nicoletti e il cinema che prolunga la vita in Moj brate. Mio fratello

Sorprendente esordio nel lungometraggio in concorso a Cineasti del presente, un lavoro dove il fantasma di Alberto Musacchio è ricorrente a ne mette in luce le numerose ferite

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Cosa può restare oltre ai ricordi? Foto, immagini, testimonianze. Per prolungare la vita di chi ci ha lasciato dipende come sono assemblate, raccontate, vissute. Il sorprendente esordio di Nazareno Manuel Nicoletti riesce nell’intento. La figura di Alberto Musacchio, l’attore, clown, archeologo e ricercatore universitario morto suicida nel 2001 lascia un segno preciso, quasi dirompente. La sua corsa sul monociclo sotto la pioggia diventa un’immagine ricorrente anche quando non è sullo schermo, le sue foto riprendono vita anche attraverso le testimonianze vissute di chi l’ha conosciuto e si ri/forma un’esistenza avventurosa e difficile come la scoperta di avere due fratelli quando aveva 14 anni.

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Non è un semplice viaggio nella memoria Moj brate o almeno non lo è soltanto. È invece un lavoro dove la materia stessa dell’immagine porta numerose ferite. Il fantasma di Alberto sembra essere la fantasmatica dissolvenza nascosta anche quando vengono inquadrati gli alberi, il paesaggio spoglio del Canada e soprattutto i bambini della stessa Mostar davanti ai quali Alberto si esibiva. Il frammento d’archivio è senz’audio. Conta il corpo del protagonista, scomparso e improvvisamente riacceso, conta l’accumulo della ricerca delle tracce emotive da parte di Stefano Gabrini – che aveva diretto Alberto in Il gioco delle ombre del 1989 – dove escono dalla polvere anche le lettere d’amore e tracce del passato sentimetale di Alberto. La ricerca stilistica a tratti può apparire un po’ aspra (l’insistenza delle mani nella terra del vaso o i corpi sovrimpressi sull’immagine), ma il lavoro di Nicoletti mette comunque in luce uno sguardo originale nel modo in cui mette in stretta connessione passato, presente ed eternità, con una ricerca che forse si potrebbe essere ispirata – nella manipolazione dell’immagine stessa dove suono e visivo sono come mescolati e restituiti sullo schermo sotto un’altra forma – a Lucchi-Gianikian. C’è poi un lavoro significativo sui luoghi. Se ognuno di quelli che abbiamo visto e vissuto segnano la nostra vita, qui quelli filmati sembrano a loro volta segnati dalla presenza di Alberto. Come se fossero stati quegli spazi ad essere andati verso di lui.

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