Lost in Translation – L’amore tradotto, di Sofia Coppola
La Coppola sembra far respirare i corpi dei due protagonisti, con una leggerezza di sguardo che non vedevamo dalle commedie sofisticate degli anni Trenta
Il film di Sofia Coppola racconta di quei particolari momenti della vita nei quali incontri delle persone che, all’apparenza, non hanno nulla a che fare con te e con il tuo mondo, eppure riesci a instaurare con loro un rapporto straordinario e inaspettatamente profondo. Più o meno così lo racconta la giovane regista del sorprendente Il giardino delle vergini suicide, e Lost In Traslation è costruito, cucito addosso al corpaccione di Bill Murray, qui Bob Harris, attore hollywoodiano in trasferta a Tokyio per girare uno stupidissimo quanto remuneratissimo spot pubblicitario. E’ un mondo completamente diverso dal suo e Bob trascorre le sue giornate tra un set dove non capisce una parola e l’albergo dentro un grattacielo, con la vista su Tokyo ma sempre più chiuso in un universo particolarissimo. E il bar (e la tv in camera) diventa il suo luogo di ritrovo, con se stesso dato che non trova nessuno con cui condividere le serate, e soprattutto quella maledetta insonnia che, complice il fuso orario, lo attanaglia da giorni. Ma proprio l’insonnia sarà l’elemento in comune iniziale che lo metterà “in gioco” con Charlotte (Scarlett Johansson), giovanissima moglie di un fotografo attivissimo (Giovanni Ribisi), anch’ella perduta nel “vuoto” della capitale giapponese. E dopo un fugace primo incotnro al bar dell’albergo tra i due iniziera’ una curiosa quanto anomala relazione, fatta di camminate, percorsi notturni, dialoghi liberi e senza troppe limitazioni e/o obbligazioni, e Charlotte aiuterà Bob a immergersi nelle notti di Tokyo, in compagnia con un gruppo di suoi amici pazzi e scatenati. Bob e Charlotte troveranno in questo vagare notturno una comunicazione nuova, inessenziale e magnificamente “inutile”, ovvero che non ha una precisa destinazione “d’uso”. E allora il karaoke, la tv con i vecchi film in camera, le passeggiate notturne e le lunghe chiacchierate non costituiscono uno svago necessario a una vita che “non gli basta più”. No, Charlotte e Bob hanno le loro vite di cui sono rispettivamente piuttosto felici, e quest’incontro rappresenta una luce nel buio di giornate di solitudine particolare. La Coppola sembra far respirare i corpi dei due protagonisti, con una leggerezza di sguardo che non vedevamo dalle commedie sofisticate degli anni Trenta, ma anche con quel misto di sentimento e malinconia che rende il rapporto tra i due qualcosa di “inafferrabile”. Non puo’ diventare qualcos’altro, ne’ perdersi li’, per sempre. Ed ecco la Coppola regalarci quel finale da brividi sull enote di un vecchio hit dei Jesus e Mary Chain, con Bob che in partenza per l’aereoporto vede Charlotte dal taxi e la rincorre per le affollatissime strade di Tokyo. La raggiunge, l’abbraccia forte e le sussurra qualcosa all’orecchio prima di salutarla definitivamente. E’ in questo piccolo gesto – di un’intimità così clamorosa dalla quale la regista ci tiene letteralmente fuori – che sta tutta la bellezza di un film tenero e divertente, leggero e non “fondamentale” come tutte le cose più belle della vita…
Titolo originale: Lost In Translation
Regia: Sofia Coppola
Interpreti: Scarlett Johansson, Bill Murray, Akiko Takeshita, Giovanni Ribisi, Anna Faris, Fumohiro Hayashi
Distribuzione: Mikado
Durata: 105′
Origine: Usa/Giappone, 2003