Lui è tornato, di David Wnendt

Nato da un caso letterario, Lui è tornato non approfitta della fama del libro ma lavora con le potenzialità dell’immagine cinematografica estendendo ancor più i confini dell’inchiesta.

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Se c’è una domanda alla quale non sappiamo più rispondere, noi turisti dell’antropocene dell’ironia, è se siamo ancora capaci di gestire le icone del Male, anche quelle che crediamo disinnescate da tempo. Se fossimo ormai convinti di essere in grado di saperle maneggiare come barman acrobatici, il film di David Wnendt ci ricorda che no, non siamo in grado.
Nato per dare un’estensione al romanzo di Timur Vermes, un vero caso editoriale in Germania, Lui è tornato in versione cinematografica non si limita a ricalcare un libro di successo, ma porta il discorso oltre, nella dimensione dell’esperienza del mondo. L’intrigante questione posta dallo scrittore è nuovamente uno spunto di riflessione per un percorso parallelo a quello letterario, ma mai coincidente.

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Cosa succederebbe se, in circostanze misteriose, Adolf Hitler tornasse a vivere tra noi e a ricominciare la sua ben nota propaganda? Il film di Wnendt non tenta di dare risposte immediate ma, al contrario espande la domanda ad libitum, cercando di investire più aspetti possibili. L’aspetto polisemico del progetto infatti lo rende sfuggente e, di conseguenza, estremamente affascinante. Anche noi spettatori, consapevoli della ludicità dell’operazione, siamo continuamente disorientati dalla quantità di approcci che il regista decide di adottare per raccontarci questa favola dell’assurdo. Se inizialmente la pellicola sceglie un approccio rassicurante, una narrazione a tinte comico/surreali che mette in scena un nuovo Adolf alle prese con le assurdità del mondo contemporaneo, appena ci siamo accomodati dentro quello che sembra un’innocuo spunto dissacratorio, ecco che siamo rimbalzati in un mockumentary a là Borat in cui Hitler intervista in prima persona, con tanto di divisa e berretto, la gente più variegata possibile in un lungo tour per la Germania. L’effetto è straniante e, per certi versi, agghiacciante. Impossibile non sostituirsi mentalmente all’uomo della strada, che con estrema leggerezza revisiona l’intera storia dell’Europa moderna prima di concludere con l’immancabile selfie. Non è semplicemente un essi vivono versione paese reale, è l’inquietante risvolto della nonchalance con la quale usiamo a nostro piacere determinate figure ormai immancabilmente pop credendo che sia un atto di libertà.

Lui è tornato non è solamente una commedia dell’ “e se?” ma unisce consapevolmente i fantasmi dei natali passati con la ben più palpabile presenza di quelli futuri, che bussano sempre più insistentemente alle nostre porte. L’immediato rimando alla situazione europea contingente è inserito sotto traccia, si preferisce sporcarsi le mani con le indagini invece di tuonare verità dalle torri d’avorio, alla ricerca della tanto declamata banalità del male. C’è da molto da imparare da un’operazione del genere, specialmente nella instancabile necessità di spostare il punto di vista incrociando le traiettorie narrative, rendendosi così incatalogabile ed estremamente ficcante.

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