L’uomo che uccise Don Chisciotte, di Terry Gilliam

Forse non è neanche questo il vero Don Chisciotte. Affascinante e visionario, ma slegato, quasi frammenti di un work in progress in un film che potrebbe ancora cambiare.

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Forse non è neanche questo il vero Don Chisciotte di Gilliam. Forse non ci sarà mai. Si resta davanti a un film che appare come un caotico e affascinante work in progress. Dove questa versione potrebbe essere nuovamente cambiata in un altro montaggio, potrebbero esserci dei tagli o l’inserimento di scene che non abbiamo visto. Tornava in sovrimpressione Lost in La Mancha, il documentario su quella che all’epoca era stata definita come la fallimentare realizzazione del film, uscito nel 2002.

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“E ora dopo 25 anni…”. Già nella didascalia iniziale c’è tutta un’altra storia che non si vede. Le riprese erano cominciate nel 2000 dopo due anni di pre-produzione con Jean Rochefort nei panni di Don Chisciotte e Johnny Depp in quelli di Toby Grisoni. Poi problemi finanziari, un’alluvione che ha distrutto il set e l’abbandono di Rochefort perchè malato, il film si è interrotto. Gilliam aveva anche perso i diritti di sceneggiatura che poi ha riacquisito nel 2006. John Hurt, Michael Palin e Robert Duvall erano stati tre possibili Don Chisciotte mentre Ewan McGregor e Jack O’Connell dei potenziali Toby Grisoni.

Toby (Adam Driver), un pubblicitario cinico e disilluso, s’imbatte nelle folli illusioni di un vecchio calzolaio (Jonathan Pryce) convinto di essere Don Chisciotte. Non solo. Pensa che l’uomo sia il suo fedele scudiero Sancho Panza. Lo trascina così in un viaggio bizzarro a cavallo tra i giorni nostri e il 17º secolo.

La voce off, il libro di Cervantes che si apre. Da qui tutta l’immaginazione incontrollata e debordante del cinema di Terry Gilliam, tra illusioni visive (la voce di Don Chisciotte dietro lo schermo dove si sta proiettando una versione in b/n), salti temporali, soggettive allucinate, improvvise deformazioni. Il cineasta mette in campo tutto il suo cinema tra deformazioni prospettiche, l’animazione, i colori pop della fotografia di Nicola Pecorini, proiezioni grottesche come nella scena delle visioni femminili di Toby che poi si ritrova vicino a una pecora. Presente e passato diventano complementari, quasi paralleli. Si affaccia anche il fantasma di Donald Trump o dei fotografi a cavallo a caccia di gossip. E in più torna in campo Fellini, nel delirio di Don Chisciotte, con le maschere che gli ruotano attorno. Un cinema ancora visivamente molto denso, ma dove si vede anche quell’involuzione nel suo cinema evidente da Tideland in poi. Un conto era realizzare questo film dopo Paura e delirio a Las Vegas, un altro è farlo dopo The Zero Theorem.

Mi sono identificato in Don Chisciotte e nel suo creatore, solo che lui credeva che la letteratura potesse migliorare l’umanità e io credo che lo possa fare il cinema ha affermato in un’intervista al Corriere della Sera. Però forse c’è anche Toby Grisoni. Nel film  sul set, nella visione di costruzione/magia presente in una battuta del film (“Io Geppetto, tu marionetta”), nel rincorrere un film, un cinema che sembra che gli stia sfuggendo di mano. L’uomo che uccise Don Chisciotte non è l’unico esempio. Gilliam ha avuto anche altre traversie produttive in Le avventure del Barone di Munchausen e Parnassus. Si, le fantasie sono potenti. Dalla mutazione di Angelica, alle donne con i baffi o quella anziana o al mulino. Ma sembrano solo i residui di un film che non si è fatto e forse originariamente potevano e dovevano essere piazzati altrove e avere un’altra forma. In una fase ancora antecedente a I fratelli Grimm e l’incantevole strega. E forse al momento il vero Don Chisciotte di Gilliam è ancora nel personaggio di Parry interpretato da Robin Williams in La leggenda del Re Pescatore.

 

Titolo originale: The Man Who Killed Don Quixote

Regia: Terry Gilliam

Interpreti: Adam Driver, Jonathan Pryce, Stellan Skarsgård, Olga Kurylenko, Joana Ribeiro, Jordi Mollà

Distribuzione: M2 Pictures

Durata: 137′

Origine: Spagna/Gran Bretagna/Francia/Portogallo 2018

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