Mom, I Befriended Ghosts, di Sasha Voronov

Nella sezione Stanze di Rol del 38°TFF arriva Voronon, che utilizza la distopia per parlare della contemporaneità, esorcizzarla e ripartire.

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Ishim è stata messa in quarantena. La città è stata colpita da uno strano virus che decima la popolazione. Spasmi muscolari e completa atrofia delle estremità sono i sintomi di questa malattia sconosciuta che scorre dentro le tubature della città. Disperati vagano per le strade alla ricerca dei loro simili in fuga dal controllo dei gruppi di difesa organizzati. La protagonista, in cerca di un modo per salvare la propria madre, si troverà a dover combattere contro le proprie paure e una natura divenuta la nemica numero uno dell’umanità.

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Sasha Voronon è un altro di quei nomi che fanno parte della nuova ondata di cinema russo che pian piano sta sempre più avendo successo in tutto il mondo. Uscito direttamente dalla VGIK, stessa scuola di Sokurov e Tarkovskij, come allievo di Klokov si va aggiungere ai vari Kantemir Balagov e Alexander Zolotukhin, adepti del regista di Arca russa, per rimettere in campo un tipo di cinema che parte dal classico per parlare del presente. Qui siamo più dalle parti dei romanzi dei fratelli Strugackij tradotti cinematograficamente da Tarkovskij (Stalker), Sokurov (I giorni dell’eclisse) e Lopushansky (Lettere di un uomo morto). È stato preveggente proprio come il regista delle maschere antigas di Lettere di un uomo morto; sembra infatti che Voronon abbia iniziato a lavorare al progetto ben due anni fa, nel 2018, prima del Covid e della quarantena. Con una durata esigua, appena 71 minuti, un approccio secco che va dritto al punto e un grandissimo utilizzo di fuori campo e sonoro, analizza la contemporaneità, l’esorcizza e dona al cinema post covid una delle immagini più belle per simboleggiare la ripartenza di cui tutto il genere umano ha bisogno in questo momento: quella della resurrezione di Toya. Una ragazzina che al contrario della Ilana di Tesnota riacquisisce la parola, e nel fuori campo finale, dove sembra tornare forse la normalità, suona la stessa carica dell’impresa titanica di A Russian Youth di Zolotukhin.

Il tema del racconto è esplicitato fin dal titolo iniziale; dallo spazio ristretto dello streaming, della webcam, si ritorna ad un cinema fatto di campi larghi e profondità, dove la natura selvaggia la fa da padrone. Lo smarrimento vissuto dai protagonisti è facilmente condivisibile. I fantasmi non viaggiano più nell’etere, si nascondono in mezzo alla neve, nelle case diroccate e tra le sterpaglie; per sfuggire ad un sempre più grande grado di controllo. Nel caos e nel disorientamento si devono affrontare le proprie paure. Bisogna riconoscere il passato e farselo amico per riuscire ad esser armati per il futuro; magari con un fucile fatto con il materiale di recupero donatoci da quella natura per anni temuta, e con freddezza checoviana farci spazio con le cartucce a nostra disposizione, perché “se c’è una pistola in scena, c’è bisogno che spari“. Ed è con questa stessa freddezza che viene costruita l’opera d’esordio del regista russo; che riesce a centrare il bersaglio al primo colpo senza sprecare nessuno dei quadri costruiti, andando dritto al focus della questione. Quello di Voronon è uno dei film più interessanti passati al TFF e a cui più di tutti forse manca l’ampio respiro della sala.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.67 (3 voti)
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