Notte sulla Roma di "Cemento armato"

Ottimo esordio noir per Marco Martani, col cast “prima degli esami” alle prese con una storia metropolitana di brutto, sporchi e cattivi: Faletti è un crudele boss, Vaporidis un bulletto di quartiere. 

La recensione di Massimo Causo su "Il corriere del giorno"

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Materia d’ombra, quella che si agita nelle molecole di questo benvenuto esordio di Marco Martani: noir metropolitano, immancabilmente capitolino (ma una Roma sensuale e intestina come solo quella argentiana del “Cartaio”), palese come un western nel suo romantico chiaroscuro tra Bene e Male, cinefilo sino allo spasmo (lo vedi e ripensi a molto cinema che hai amato)… “Cemento armato” è quel cinema italiano che manca tanto a Quentin Tarantino (vedi la lettera aperta apparsa ieri sull’home page del web magazine “Sentieriselvaggi.it”), e che manca a noi, soverchiati da cinefiction ministeriali e da registi con la scrittura minuscola promozionati come autori dal sistema cinematografico…

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Ci sono Fernando Di Leo, Friedkin, Leone, Argento, Carpenter nell’uso dei notturni, un po’ di Michael Mann nella contrapposizione atavica tra i due protagonisti: il giovane Diego, bullo di quartiere cresciuto all’ombra di un padre svanito nel nulla, e il Primario, boss della mala romana, palazzinaro e re dello spaccio, spietato e temuto, intoccabile, vestito di nero. A Diego sembra un gioco: costeggiare in moto le auto in fila sulla Tiburtina e usare il piede come un tempo i cavalieri usavano il giavellotto, per far saltare gli specchietti. E invece è solo il segno di un destino ben più ampio e crudele, antico… Uno degli specchietti che salta è quello del Primario, che non sopporta la bravata e dà la caccia al ragazzo. Il destino intanto fa sì che sia anche Diego a dar la caccia al boss, il quale, senza saperlo, ha messo le mani addosso ad Asia, la ragazza del bulletto, e l’ha violentata nel retro di un ristorante, assieme al suo guardaspalle nero, Said…

Bell’intreccio di odio reciproco che scorre in senso inverso nelle vene di una città che è set di materia non indifferente: il cemento armato che occupa lo spazio metropolitano ed è l’espressione del potere di un boss palazzinaro, opposto al fluido rapporto di Diego col quartiere, fatto di gente, amori, conoscenze, fughe in scooter, amici seduti al bar, mamme che aspettano trepidanti a casa, padri scomparsi nel nulla, sale da biliardo, sfasciacarrozze che rottamano la Roma accattona pasoliniana nella presenza fantastica di un Ninetto Davoli che è una “storia” in sé e per sé… Il meccanismo cresce e nella seconda parte il film diventa ancora più intenso e greve, senza perdere lo schema di un raffronto semplicemente “di genere” con la materia che mette in scena. Faletti diviene opportunamente una presenza ancor più sagomata, in sottrazione, lasciando da parte il dialogare aneddotico alla Tarantino della prima parte. Vaporidis si sporca di sangue e di morte, trasformandosi nell’ombra nera e lacrimosa che attraversa la notte prima di un esame che sosterrà faccia a faccia col suo nemico. La polizia, del resto, non sta a guardare, divisa tra l’ispettore padre di famiglia che vigila su tutto e il poliziotto venduto che gioca a nascondino con la legge e la corruzione.

L’innocenza, intanto, fa la sua parte, ed è tema che Martani tiene sottilmente in gioco sulla figura (velatamente argentiana) del fratello adolescente di Asia, a suo modo risolutiva in una partita che in realtà non ha soluzione. Perché poi Martani ha anche il merito di non cercare consolazioni, preferisce aggredire il suo pubblico (piacerà per questo?), non blandirlo con facili soluzioni, tenere in ombra i volti, tracciare una scrittura non rifinita. Alla fine “Cemento armato” è un film superbamente mancino, dal tiro imprevedibile, spiazzante, l’illustrazione precisa di come si possa ancora oggi fare cinema in Italia manipolando la materia e non i didascalici indici di gradimento autoriale della critica ministeriale. Un cinema nato da una costola dei “film-panettone” di Neri Parenti, scaturito come la metà oscura della “Notte prima degli esami”: Martani e Brizzi ne sono stati gli sceneggiatori, rei confessi e recidivi, colti in flagranza di reato. Che siano condannati a continuare a fare cinema vero e sincero come questo: sconteremo la pena assieme a loro…

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