Oceania, di Ron Clements e John Musker

Un piccolo racconto del percorso compiuto dalla pratica del cinema di animazione, dalla bidimensionalità dei tatuaggi viventi di Maui fino alla trasparenza sorgiva dell’oceano in CGI


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Come a ribadire l’oramai assoluta osmosi tra i due organismi, il seme di Moana potrebbe in sostanza nascondersi nei titoli di coda addirittura del pixariano Wall-E, in cui geroglifici di animazione “tradizionale” si evolvevano per testimoniare sui muri dell’umanità la Storia del reale in CGI: allo stesso modo, tutto il film di Clements e Musker è sottotraccia (o sotto il pelo dell’acqua) un piccolo racconto del percorso compiuto dalla pratica del cinema di animazione fino a giungere alla trasparenza sorgiva dell’oceano in quest’opera – da sempre il liquido è il banco di prova centrale del virtuale, d’altra parte, e i due veterani Disney sono qui alla prima prova con i pixel.

Non è un caso se, per tutta la durata della vicenda, la giovane protagonista e il suo compagno d’avventura Maui attraversino continuamente registri differenti nella piattaforma dell’animato, dalla tecnica mista degli istanti musical al bidimensionale puro ancora una volta sulle pareti di una caverna o tatuato sui muscoli del guerriero.
Ecco, l’invenzione del tatuaggio vivente, che commenta, raddoppia e dialoga con le azioni dell’eroe sui cui bicipiti e pettorali è disegnato, è forse l’intuizione più esaltante del film, sorta di visualizzazione istantanea dell’immaginario e del pensiero al livello di purezza quasi di una sovrimpressione del muto: tiene insieme livelli diversi del linguaggio disegnato quantomeno a partire dalla comic strip, con la felicità intuitiva di una gag (e di un riferimento aperto all’Hercules di Clements e Musker del ’97).
L’essenza mutevole dei fumetti sul corpo di Maui, e del suo scettro in grado di trasformarlo in qualunque creatura, da un lato raddoppia la forma libera dell’acqua replicata al computer, dall’altro è il gancio più esplicito degli autori alla loro opera Disney che più assomiglia a questa, quel Treasure Planet del 2002 che già aveva tentato l’esperimento di rinnovare il canovaccio dell’avventura da letteratura popolare (il viaggio, il tesoro da recuperare, alleanze e tradimenti, skills da implementare per superare gli ostacoli, insomma il bildungsroman) con le potenzialità dell’animazione “aumentata” – e infatti anche lì compariva l’elemento mutaforme nella figura del simpatico aiutante Morph (già quella una versione miniaturizzata del genio di Aladdin, sempre un Clements/Musker).

oceania

Più che al fondo del mar de La Sirenetta, che è il film degli autori a cui viene più frequentemente associato Moana, questo oceano pare piuttosto la versione azzurra del deserto di Mad Max: Fury Road, da cui sembrano venire fuori le legioni di pirati che attaccano i nostri, a cui davvero manca solo l’accompagnamento del carro col chitarrista metal.
In quest’ottica è evidente come la versione cartoon di Dwayne Johnson confermi in The Rock una delle icone maggiormente fondamentali del contemporaneo, e risulta chiaro come il morphing sia in realtà alla base di qualunque sua performance attoriale di corpo impossibile: il cinema gli si marchia addosso, scivola e gioca sulla superficie lucida della sua carne.


Titolo originale: Moana

Regia: Ron Clements, John Musker
Interpreti (voci italiane e originali): Angela Finocchiaro, Raphael Gualazzi, Chiara Grispo, Dwayne Johnson, Alan Tudyk, Nicole Scherzinger, Jemaine Clement
Distribuzione: Walt Disney
Durata: 113′

Origine: USA, 2016


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