Paura d’amare, di Garry Marshall

Uno dei vertici del cinema di Marshall. Spaccato realistico tratto dalla commedia di McNally con derive hitchcockiane. Michelle Pfeiffer in stato di grazia. Stasera, ore 21, Sky Romance

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Una canzone, un destino. Dalle luccicanze dell’hotel in Pretty Woman allo spaccato realistico della tavola calda Apollo di Paura d’amare. All’angolo tra la 23° strada e la 9° di New York. Ed è proprio la Grande Mela che respira accanto ai protagonisti Frankie e Johnny. Lei (Michelle Pfeiffer) è una cameriera che ha avuto delle relazioni infelici e guarda la vita con diffidenza. Lui (Al Pacino) invece è un cuoco che è uscito dal carcere dopo 18 mesi che s’innamora di lei e inizia un serrato corteggiamento. E c’è ancora Hector Helizondo – presenza fissa del cinema di Marshall – ancora sublime burattinaio da direttore dell’hotel di Pretty Woman al gestore del locale di Paura d’amare.

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Dalla commedia Frankie and Johnny in the Clair de Lune di Terence McNally (anche autore della sceneggiatura) e accompagnato dall’efficace colonna sonora di Marvin Hamlish che diventa una specie di ritmo parallelo, Paura d’amare è un potente spaccato drammatico-sentimentale del cinema di Marshall, tra i vertici del suo cinema. L’inizio è potentissimo. Tutto sui personaggi. Quasi senza dialoghi. Montaggio alternato. Johnny appena uscito di prigione. Frankie in pullman. Immagini riflesse al vetro. O allo specchio. Sospeso tra la fatica di vivere la quotidianità e la ricerca di un possibilie riscatto. Il futuro è forse proprio nel brano omonimo di Terence Trent D’Arby. Che è anche il titolo originale del film. E si alimenta anche dal contrasto tra i due protagonisti. L’esuberanza di Al Pacino contro i silenzi e gli occhi impauriti di Michelle Pfeiffer in stato di grazia. Insieme per la seconda volta sullo schermo dopo Scarface di Brian De Palma.

E poi New York. Altro atto d’amore del cinema di Marshall. Immortalata dalla fotografia di Dante Spinotti, spazio per nomadismi notturni dei due protagonisti. Tra camion che passano, fumo sull’asfalto e giovani predicatori che urlano fuori la fermata della metro. E improvvise magie: il bacio tra Frankie e Johnny. Sullo sfondo si apre una serranda ed escono i fiori.

Paura d’amare è un film sulla solitudine. L’immagine della cameriera anziana sola in ospedale e poi con la chiesa deserta al funerale sembra essere quasi oscuro presagio. Al tempo stesso c’è un realismo sconvolgente nel filmare la vulnerabilità sentimentale ed esistenziale. Frankie e Johnny sono lontani, poi vicini, poi di nuovo lontani. A un certo punto quasi separati per sempre. Poi entra in gioco la radio, un programma di mezzanotte e il Clair de lune di Debussy. Vitale in una delle scene di sesso più intense del dramma statunitense inizio anni ’90. Carico di sottili perfidie nei dialoghi. E con improvvise derive hitchcockiane. Frankie guarda immagini di vita familiare nelle finestre di fronte. Come James Stewart in Rear Window. Squarci felici, infelici, violenti. Perché Paura d’amare, nei suoi frammenti, è anche un dolente spaccato sulla violenza domestica. L’incontro al supermercato con la vicina che nasconde i segni sotto gli occhiali è emblematica. E il finale è un’improvviso squarcio di luce. Sul volto (forse) ora solare di Frankie. Nei grigi di Spinotti, il cielo non è sempre ma un po’ più blu.

 

Titolo originale: Frankie and Johnny
Regia: Garry Marshall
Interpreti: Al Pacino, Michelle Pfeiffer, Hector Elizondo, Kate Nelligan
Durata: 116′
Origine: Usa 1991
Genere: dramma sentimentale

 

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