Per sempre fuori norma. Sentieri Selvaggi intervista Adriano Aprà

“Certi modelli sono superati e superabili. Basta non adorare il Dio denaro, ma adorare la vita, il fatto di essere insieme, costituirsi in una unità circolare”. Un incontro inedito con Adriano Aprà

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A novembre 2017, nella sala del cineclub romano Apollo 11, Aldo Spiniello e Sergio Sozzo chiacchierarono con Adriano Aprà, scomparso ieri, in occasione di una delle serate della rassegna Fuorinorma, il ciclo di proiezioni e incontri che Aprà ha portato avanti fino a pochi mesi fa. Pubblichiamo per la prima volta la trascrizione di quella breve conversazione, in ricordo del grande critico e “agitatore culturale” che ci ha lasciati.

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Partiremmo da una definizione di cosa è “fuori norma”, ci dà l’idea di una sorta di clandestinità, se vogliamo, della proposta, al di fuori di tutti i circuiti normali e normativizzati del cinema…

Aprà: Tutto questo nasce non da una volontà di essere per forza “fuori norma” ma da una constatazione: mi sono domandato, alcuni mesi fa, che cosa mi era piaciuto nel cinema italiano degli ultimi anni. Ho fatto un elenco di film, poi mi sono documentato ancora di più chiedendo ad amici “avete da suggerirmi dei film belli?”, non necessariamente fuori norma. È venuto fuori un elenco di film, degli ultimi anni, che hanno, secondo me, una caratteristica in comune: di non corrispondere alla norma del cinema di finzione e del cinema documentario. Il cinema di finzione ha delle regole molto precise, che sono storiche. Il documentario ha meno regole di solito, però ultimamente, col successo della formula “cinema della realtà”, ha cominciato ad assumere delle regole che a me, personalmente, non convincono, cioè che il documentario è ciò che rappresenta il reale. Infatti, nell’elenco di questi film, la maggior parte sono dei documentari ma dei documentari che non corrispondono al concetto di cinema del reale; al contrario, sono film personali, film che senza essere di finzione (anche se ormai la differenza tra cinema di finzione e cinema documentario è sempre più difficile da stabilire), sono film con una personalità, sono film in soggettiva e non “in oggettiva”.
Non è una volontà a priori ma una constatazione a posteriori. E’ noto che io non sono un critico che si accontenta facilmente, quindi, se uno come me, che ha una lunga esperienza di visione del cinema e del cinema italiano in particolare, constata un numero così forte di film validi, questo significa che c’è una tendenza profonda del cinema.
Parallelamente a questa produzione, che io definirei “dal basso”, nel senso che molto spesso questi film sono auto-prodotti, che sono invisibili nei circuiti ufficiali, è sorta una serie di sale alternative (ai miei tempi, mi ricordo, c’era il FilmStudio e pochi altri): tutti questi film non li ho visti nelle sale commerciali, li ho visti in sale come queste dell’Apollo 11, perché gli autori mi hanno mandato un dvd (non necessariamente un dvd commerciale), perché li ho visti sul web, quindi è cambiato anche il meccanismo della distribuzione e dell’esercizio.
È un fenomeno, che mi sembra così importante, per cui ho voluto creare un’associazione culturale che si chiama FuoriNorma, per far sì che questo cinema non solo sia visto ma si affermi con orgoglio e non come qualcosa di marginale, perché questi cineasti, questi autori, che vivono normalmente isolati l’uno dall’altro, che hanno gli stessi problemi, io vorrei in quanto critico che scrive ma che soprattutto vuole agire, che pratica la critica come azione, ecco io vorrei che questi autori si unissero e facessero sentire forte la loro voce, perché non si tratta di un problema di esigere visibilità ma di far capire che il mondo cinematografico è cambiato profondamente. E questi segnali sono segnali che le istituzioni, prima o poi, dovrebbero capire.
Noi, questo Festival, l’abbiamo fatto “fuori norma” anche sotto il punto di vista finanziario, non siamo partiti dal fatto “vogliamo fare un festival, dateci i soldi e poi lo programmiamo”. No: prima lo facciamo. Se arriverà qualcosa, saremo ben contenti ma intanto, la cosa importante è farlo con entusiasmo e con amore, esattamente come hanno fatto questi cineasti e come hanno fatto queste sale.

Un’azione di politica culturale. E come possiamo noi, che facciamo esercizio critico, tutelare questi film che hanno una loro fragilità produttiva e di visibilità? Come possiamo fare?

Aprà: Parlandone. Onestamente, io non credo molto nella parola scritta, come critico, fin dai tempi in cui lavoravo al Festival di Pesaro, o dirigevo altri festival, ho sempre creduto molto che la critica debba “agire”. Quindi, superare la semplice soddisfazione di dire: “Ho visto questo film, mi è piaciuto molto, ne scrivo per quelli che…”. Mi ricorda i tempi in cui mi domandavo “Ma chi ci legge?” ma soprattutto, chi li vede i film di cui noi parliamo? E a quel punto ho smesso di fare “Cinema&Film”, e ho cominciato a fare il FilmStudio, ovvero, farli vedere. Questo è un problema che, secondo me, oggi, è molto più facile risolvere che in passato. Il digitale ha cambiato molte cose, non soltanto nel modo di fare i film ma nel modo di farli vedere. Dobbiamo approfittarne di questa grande facilità. Io mi ricordo che l’articolo 28 finanziava, ovvero dall’alto, dei film che nessuno vedeva perché, bisogna dire, erano veramente brutti, e spesso c’erano speculazioni dentro… Adesso è molto diverso.
Adesso c’è una volontà produttiva, creativa, espressiva, che grazie al digitale consente di fare dei film, dei lungometraggi a costi molto contenuti, che hanno solo il problema della visibilità. Il web è una meraviglia, da questo punto di vista. Consente di vedere delle cose che altrimenti sarebbero invisibili, quindi, tutto il panorama è cambiato, è l’industria che secondo me resta radicata su vecchissimi modelli. Mi vengono in mente le parole di Rutelli: “Dobbiamo fare delle sale cinematografiche in cui ci sono i ristoranti ecc”, delle aberrazioni totali.
No: noi dobbiamo cambiare completamente il modo di visione. La società non è più verticale, che dall’alto finanzia il basso o protegge il basso, è una società circolare. La crisi economica che c’è stata in tutto il mondo, secondo me, è stata una crisi salutare, perché ha convinto la gente che certi vecchi modelli di vita erano superati, sono superabili. Basta non adorare il Dio denaro, ma adorare la vita, il fatto di essere insieme, di costituirsi in una unità circolare.

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