Sentieri Selvaggi Playlist #1 – BOOM BOOM BOOM BOOM!

Uno speciale per collezionare le canzoni da ascoltare per tutta l’estate, dalle sequenze musicali diventate cult. Non potevamo che iniziare con il primo film-playlist della storia. Buon ascolto!

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Non ricordo esattamente dove vidi The Blues Brothers la prima volta. Potrebbe essere stato un passaggio tv o un home video in vhs. Fu sicuramente durante gli anni 80 e molto probabilmente intorno al 1988, perché ricordo come in quell’anno comprai la colonna sonora del film in musicassetta. Colonna sonora che di fatto mi fece scoprire cosa fossero il blues e il rock. Infatti laddove precedentemente il secondo aveva fatto breccia tramite ascolti di canzoni alla radio e servizi alla tv (ma comunque era una fruizione ancora distratta) il primo era ancora terreno ignoto. Se tale soundtrack doveva darmi dare una botta percettiva non indifferente, esso non copriva però tutte le straordinarie canzoni del film (canzoni che iniziai piano piano a recuperare negli anni successivi). Tra di esse c’era probabilmente il blues più puro della colonna sonora: Boom Boom Boom Boom di John Lee Hooker.

Boom Boom è un pezzo a cui arrivai con coscienza molto tempo dopo, ma fu anche uno dei primi che pose le radici nella mia anima. Infatti mi suona strano parlarne. La canzone è bellissima ma non è semplice. Si definisce un “uptempo” creato sulla tecnica dello stop-time e basato essenzialmente sulla voce bassa, tendenzialmente roca e melodrammatica di Hooker. Questo ultimo aspetto rende il pezzo molto vicino al blues del delta, e denota la caratteristica principale del modo di fare blues che caratterizza la carriera di Hooker, cioè intensità della voce e lentezza con picchi di ritmo improvvisi nella musica.

In termini di tempo il film arriva a mostrare Hooker in modo magistrale. Infatti alla prima visione del film non ci si aspetta di vedere tale scena, e per questo se ne rimane folgorati. Siamo intorno alla ora di durata (quasi a metà) ed è già successo di tutto. Basta ricordare che si stacca sulla targa della blues mobile dopo aver visto volare nel fiume i nazisti dell’Illinois (ma abbiamo anche visto inseguimenti mirabolanti su cui torneremo). Serve giustamente una pausa. Serve prendere tempo. Landis, che ha il ritmo nel sangue, inserisce questa gemma di Hooker al momento giusto per farci riprendere fiato, e probabilmente soprattutto per dare una visione del contesto.

Il contesto si chiama appunto Maxwell street market, una delle zone più vive e divertenti di South Side Chicago, il cui mercato richiama senza problemi Porta Portese a Roma, e nei cui pressi è nato il blues di Chicago tra gli anni 30 e 40. Tale blues confluirà nel Motown sound degli anni 60 e infatti la band che accompagna Hooker in Boom Boom è di derivazione Motown.

Personalmente ho sempre pensato molto al contesto della scena. Sicuramente voglio

gif critica 2raccontarmi una bugia nel credere che la scena sia stata girata dal vivo con poche indicazioni date all’aiuto regista per il controllo della massa, e con anzi una forte voglia
di dare una visione “reale” della vita di strada del momento a Chicago. Come fosse quasi una delle ultime riprese in esterno dal vero degli anni ’70, prima della potente virata verso la ricostruzione in studio e in set blindati degli anni ’80. Sarò teneramente zavattiniano ma per un attimo mi pare di vedere finalmente l’America vera. Per questo mi ha sempre colpito quel pezzo suonato in mezzo alla strada, mentre la gente compra e tratta soldi e merci alle bancarelle di Maxwell street. Sorta di colonna sonora dal vivo di una scena di vita reale che più cinematografica non si può.

Riguardo il resto del capolavoro di Landis, come sapete tutte le sue canzoni sono eccezionali, dall’inizio con She caught the Katy al lunghissimo finale sulle note di Sweet home Chicago. Ma pensando agli inseguimenti di cui accennavo prima (inseguimenti girati ovviamente dal vivo) penso a due parti di film, una conseguente all’altra, che mi hanno sempre colpito, e cioè il trittico Sooth me/Hold on I’m coming/I can’t turn your loose, tra l’inizio dell’inseguimento verso il centro commerciale e la devastazione totale di tale centro commerciale, e il mitico Peter Gunn theme durante il lento notturno ritorno a casa dopo tale devastazione.

Parlando di tali parti siamo sempre nell’ottica di un uso magistrale del ritmo da parte di Landis, sia in sceneggiatura che in montaggio, ed è bellissimo (quasi ingenuo se visto con gli occhi di oggi) come il regista voglia darsi tempo per raccontare in modo così musicale
ciò che mostra. Tutto si svolge di notte dopo che i fratelli hanno visitato la chiesa di Triple rock e Jake ha avuto l’illuminazione. All’inizio le canzoni in sottofondo sono appunto Sooth me e Hold on I’m coming di Sam & Dave, ovviamente due perle assolute del soul americano. La musica e le immagini si inseguono a vicenda in modo dolce e suadente durante la notte sull’asfalto di North Chicago. Una notte che nei suoi riverberi chiari e scuri è completamente pregna di cinema.

 

Il ritmo cambia radicalmente nel momento in cui Elwood decide di uscire dal parcheggio del centro commerciale dove si è infilato per andare a letteralmente ficcarsi dentro il centro commerciale, dando vita a una delle sequenze di cinema demenziale più esilaranti della storia del cinema. La musica diventa più robusta, veloce e ritmata, col sottofondo di I can’t turn you loose di Otis Redding (ma la versione del film -solo strumentale- è suonata dalla Blues Brothers Band). Entra di diritto nella storia del costume il modo in cui i fratelli fanno la spesa dentro i negozi, cioè entrandoci in macchina per distruggere tutto e azzerare il principio base di desiderio di possesso dell’oggetto che caratterizza l’economia capitalista. Chiarendo di fatto come i Blues Brothers siano totalmente privi di bisogni consumistici. Nella mia testa di adolescente questa straordinaria libertà di ristabilire le regole base della società mi colpì moltissimo.

Infine si passa dopo tanto delirio alla riflessività post party del Peter Gunn theme di Henry Mancini, vero classico, già usato per la serie tv omonima all’inizio degli anni ’60, che però qui si eleva quasi a poesia notturna. Il tema è anch’esso re-intrepretato dalla Blues Brothers band, che però vuole evidenziare la base jazz e tralasciare la base rock’n’roll su cui il pezzo era stato pensato originariamente. Quindi meno chitarre e più fiati, con la sezione ritmica che veramente pare creare un montaggio interno. Landis non si fa alcun problema di tornare sul pezzo anche dopo il terribile attacco “missilistico” perpetrato da una arrabbiatissima Carrie Fisher, mostrando i fratelli scrollarsi la polvere dalle giacche nere e riprendere senza soluzione di continuità la loro missione per conto di Dio. Resta evidente come il regista voglia farci ascoltare ed assaporare questo suono in tutte le sue sfumature, fino alla follia del più completo distacco dal reale (la reazione dei Blues Brothers) che non ha più qui nessuno tipo di aggancio coi nostri occhi né vuole averne.

ASCOLTA LA PLAYLIST DELL’ESTATE DI SENTIERI SELVAGGI:

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