Suicide Squad, di David Ayer

Con Suicide Squad la Warner, tra i tentativi di mettere su un universo condiviso, ha scelto di puntare sui villain, creando un’inedita dirty dozen, per tracciare definitivamente la propria diversità

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“E’ bello essere cattivi!”. In questa tagline, ripetuta fino all’ossessione nella massiccia promozione degli ultimi mesi, c’è tutta l’ambizione di Suicide Squad, il cinecomic DC dove i villain diventano finalmente i protagonisti. Molti appassionati di fumetti amano dire: “la Marvel ha dei grandi supereroi, ma i migliori cattivi sono della DC”. Ben consapevoli di ciò, la Warner, tra i suoi tentativi di mettere su un universo condiviso con i supereroi in suo possesso, ha scelto di puntare, dopo il rilancio di Superman e di Batman, su questa specie di dirty dozen per tracciare definitivamente la propria diversità estetica e concettuale. Purtroppo, come per le due pellicole precedenti, il senso d’inferiorità nei confronti della Marvel-Disney e un’opprimente ansia da prestazione hanno impedito, anche questa volta, di veder realizzata una pellicola genuinamente libera di intrattenere. La Warner, infatti, si trova in un limbo programmatico. Da un lato, è tentata di replicare la ricetta fortunata dei rivali (grande spazio a gag, supereroi cool, invadente controllo creativo su ogni pellicola), dall’altro, invece sembra convinta di seguire strade più dark e coraggiose, con il coinvolgimento di autori dalla cifra stilistica riconoscibile e marcata (come già fatto con Nolan e la sua trilogia del Cavaliere oscuro). Questa indecisione ha generato sin da L’uomo d’acciaio una confusione produttiva evidente, che è continuamente esacerbata dai pessimi rapporti tra i cinecomic Dc e la critica. La stampa Usa (ma anche gran parte del pubblico, nonostante i buoni, ma non esaltanti, incassi) non ha avuto remore nello scagliarsi selvaggiamente contro Batman v Superman e Suicide Squad, etichettati come pasticci e errori pacchiani. Da questa severità, difficilmente riscontrabile contro i film degli avengers, nascono le polemiche e le accuse di sudditanza psicologica, o addirittura di vera e propria corruzione, dei critici, sempre pronti a etichettare le opere Marvel come esempi d’intrattenimento cinematografico intelligente ed efficace.

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Ora, mettendo da parte le teorie complottistiche che tanto appassionano gli utenti di Reddit o di Twitter, è davvero difficile considerare Suicide Squad un’operazione riuscita. Sin dalla sua prima visione è evidente che, al di là delle affermazioni di comodo della produzione e del regista, il montaggio finale del film sia stato un’impresa quasi impossibile, dato il risultato finale raffazzonato e inconcludente. La storia, oppressa da una colonna sonora hip hop, si sviluppa tra continui sali e scendi, lasciando solo intuire, tra pochi sprazzi, la grandezza di un film completamente scomparso tra tagli e reshoot.

joker Non serve neanche fare il confronto con le decine di trailer e clip che hanno anticipato la pellicola, quasi completamente costruiti su scene escluse dal final cut, per intuire come David Ayer (o probabilmente qualche tecnico di fiducia della Warner) abbia dovuto fare ricorso a tutto il suo mestiere per alleggerire al massimo il tono e le atmosfere del film. I risultati di questo “snaturamento” possono vedersi nel mad love tra il Joker e Harley Quinn, ridotto a qualche breve, splendido, flashback, o nello sviluppo di una trama principale risibile e mal costruita. In Suicide Squad c’è davvero poco del David Ayer sceneggiatore di Training Day e Indagini Sporche o regista di Fury. L’autore sembra quasi castrarsi, impossibilitato a dare sfogo alla sua forza ruvida, esprimendosi attraverso un arrogante manierismo da videoclip.

Il cinecomic cerca, allora, di appoggiarsi solo sulla caratterizzazione dei suoi tanti carismatici personaggi, alcuni nobilitati dalle ottime performance dei propri interpreti. Ecco dunque che il film diventa totalmente in balia delle prove di Viola Davis, la spietata Amanda Waller, del ritrovato Will Smith, il mercenario Deadshot e della lanciatissima Margot Robbie, la diva Harley Quinn, vero cuore dell’opera. Gli altri personaggi, interpretati da Joel Kinnaman, Jay Courtney o Jay Hernandenz, invece, pur con un ruolo importante, non possono che rimanere in disparte. Un altro discorso merita il protagonista occulto della pellicola, l’attesissimo Joker di Jared Leto. Il classico villain, dopo la performance monstre di Heath Ledger, è al centro dell’interesse di tutti, curiosi di vedere questa nuova rilettura gangsta. Purtroppo il tempo destinato al villain è quasi nullo e impedisce la formulazione di un giudizio ponderato su questo nuovo Joker e sull’interpretazione di Leto. Da quel poco che si vede, però, sembra che l’idea sia mostrare un “clown” più vicino al kingpin psicotico ma glaciale delle saghe Dc degli anni novanta/duemila, ben diverso al terrorista freak di Nolan. Probabilmente proprio in questa nuova caratterizzazione, uno dei tanti segnali del guardare apertamente allo spirito dark-fumettistico delle opere originali, risiede la speranza che l’universo condiviso di Batman e Superman possa avere, davvero, un futuro.

Titolo originale: id.
Regia: David Ayer
Interpreti: Will Smith, Margot Robbie, Jared Leto, Joel Kinnaman, Jai Courtney, Cara Delevingne, Viola Davis, Scott Eastwood, Raymond Olubawale, Jay Hernandez
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 130’
Origine: USA 2016

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