#TFF37 – True History of the Kelly Gang, di Justin Kurzel

Ritratto viscerale del criminale australiano Ned Kelly che Kurzel porta sullo schermo come simbolo assoluto di un’umanità corrotta e perversa.

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Justin Kurzel ancora una volta si avvicina a una materia preesistente, in questo caso storica e letteraria – il romanzo omonimo di Peter Carey –, per raccontare la parabola del criminale australiano Edward “Ned” Kelly (George MacKay), figura che nel corso del tempo (la vicenda è ambientata nella seconda metà dell’Ottocento) ha conquistato per alcuni connazionali un’aura mitica: quella di fuorilegge e ribelle, che si è scontrato apertamente contro le autorità coloniali britanniche andando incontro a un epilogo tragico. In questa storia di formazione e trasformazione del protagonista, il regista non fa sconti né retorica: il suo è un ritratto viscerale e complesso che tenta di mostrare le diverse facce di un personaggio necessariamente contraddittorio, radicale e in ultima istanza folle. True History recita il titolo, la vera storia, come a voler prendere le distanze da una figura che non può essere classificata e che appartiene a un immaginario collettivo; e questo viene ribadito più volte nel film, dalla didascalia in apertura e poi dal personaggio del barbaro Harry Power (Russell Crowe) e dallo stesso protagonista: entrambi decidono di affidare la propria storia alla propria memoria trascrivendo su carta gli eventi accaduti per evitare distorsioni o manipolazioni.

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La narrazione procede dunque per gradi, in tre atti, dall’infanzia fino al climax finale in un western estremo e allucinato in cui la natura così spaziale e desertica assurge spesso a quadro immobile esistenziale, metafora della vita stessa di una famiglia che vive isolata, che non conoscerà mai il significato del riscatto e che sin da principio, con la morte del padre, è condannata a un destino maledetto e ineluttabile. Kurzel adotta uno sguardo cupo e altamente stilizzato che a volte diventa un tutt’uno con quello del protagonista, come nella scena conclusiva che vede il nostro eroe/antieroe solitario con indosso un elmetto di ferro e uno sferzante desiderio di libertà: un Don Chisciotte che di fronte alla materializzazione dei suoi nemici – sfumati punti bianchi in lontananza, quasi una visione – affronta con la dignità di un cavaliere la sconfitta. La Storia passa così attraverso il filtro straniante di Kelly, ma è soltanto uno strumento accessorio utile a fornire un contesto perdendo d’altra parte qualsiasi valore critico e oggettivo.

True History of the Kelly Gang è del resto, per tornare al titolo, anche un’epopea matriarcale dove a troneggiare, senza rivali, è la madre (una spietata Essie Davis), presenza ossessiva che abusa del suo potere, che si prostituisce e che non si fa scrupoli a vendere il figlio poco più che bambino per farlo svezzare ed entrare nel mondo degli adulti: un rito sanguinolento e traumatico che segnerà il percorso di Ned e poi quello dei suoi fratelli, che si travestono da donna per aumentare la libidine delle loro scorribande e per sorprendere le persone. Allo stesso modo del Macbeth, Kurzel si trova a contatto con un’umanità corrotta e perversa che in questo film riesce a emergere nonostante a volte a sovrastare siano l’eccesso, nelle sue forme più disparate e gratuite, e la volontà di attualizzare una materia che è fuori dal tempo, come se la miccia detonatrice di Kelly non fosse già abbastanza sufficiente a tracciare le traiettorie imprevedibili della natura umana.

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