#TFF38 – Incontro con Antonio Capuano e Teresa Saponangelo per Il buco in testa

Il regista e la protagonista parlano del film fuori concorso al Torino Film Festival, tra pittura, dolori comuni e ciò che serve per ricucire gli strappi degli anni di piombo.

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80 anni e non sentirli. Antonio Capuano, regista di Il buco in testa, è un fiume in piena nell’incontro in occasione del passaggio del suo film al Torino Film Festival. Un brio che gli ha dato lo slancio per raccontare la storia vera di una donna, Maria, che incontra l’assassino di suo padre, carabiniere ucciso durante gli anni di piombo. “Quando l’ho sentita alla radio raccontare la sua storia ho avuto subito voglia di farci un film. Per il puro piacere di raccontare qualcosa a qualcuno, come quando si conosce una barzelletta”. Il film, che di divertente ha ben poco, si divide tra le zone limitrofe a Napoli e Milano, due paesaggi pieni di avvenimenti e storie parallele, “ma il cuore doveva essere Maria”.

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Un cuore dolente, come spiega l’interprete di Maria, Teresa Saponangelo: “ciò che mi ha avvicinata subito al personaggio è stato il dolore di perdere il proprio padre. Certo, il suo è stato ucciso quando non era ancora nata, mentre il mio l’ho perso per un incidente sul lavoro quando ero ancora piccola. Però una perdita del genere, che porta anche ad avere ritrosia a provare degli affetti, ci accomuna”. Diventare Maria è stato per la Saponangelo un processo molto fisico, ritmico, guidato da Capuano: “Antonio è un regista coreografo. Controlla tutto sul set, dove viene a crearsi un vero e proprio ritmo emotivo. Se segui il suo disegno fino in fondo e ti abbandoni a quel ritmo, sei dentro il suo mondo”.

il buco in testa teresa saponangelo

L’emozione di Il buco in testa passa anche dalle scelte visive di Capuano, come quella di dipingere i fotogrammi di repertorio. Un’invenzione che la Saponangelo svela esser nata direttamente sul set. “In quella scelta c’è la mia esperienza da pittore”, confessa il regista. Un’esperienza che gli è servita per dare forza ad un elemento importantissimo del film, che in sede di ripresa non gli parve abbastanza potente. E l’animo del pittore è ciò che gli fa prediligere la contemplazione all’azione: “Noi esseri umani siamo meravigliosi e pessimi. Non solo i fatti atroci e violenti avvenuti negli anni di piombo, ma anche quelli capitati prima, non ci hanno mai insegnato nulla. Manca la sensibilità per cambiare davvero le cose, quella con la quale guardi il cielo e capisci qualcosa”. Proprio questa sensibilità, verso gli altri e in primis per il loro dolore, è per Capuano la condizione essenziale per risanare ferite storiche come gli anni di piombo.

C’è dolore anche nella sentita dedica di Capuano al suo storico produttore, scomparso nel febbraio di quest’anno, Gianni Minervini. Che vede come uno degli ultimi rappresentanti di un cinema in via d’estinzione, mentre “oggi tutto si muove in funzione del guadagno”. In questa trasformazione, però, il regista è sicuro che le sale sopravvivranno, anche se ridimensionate e in un numero minore. Perché questa è un’esperienza che, secondo la Saponangelo, non si può paragonare con i piccoli schermi di smartphone e computer. Anche l’attrice, come tutti gli appassionati, spera che si possa presto tornare a questa dimensione collettiva. Per condividere emozioni, lacrime e risa, in qualsiasi piazza, parco o sala ci sia un grande schermo.

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