Un percorso tra i cortometraggi del FESCAAAL31

Dalla sezione del FESCAAAL 2022 riservata ai Cortometraggi Africani, un percorso di visioni incentrato sulla ricerca di libertà e sul desiderio di appartenenza, declinati al femminile

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La sezione Cortometraggi del Festival Africano, d’Asia e America Latina 2022 ha regalato al proprio pubblico una vasta rosa di titoli in grado di far emozionare e riflettere su temi di grande attualità, attraverso uno sguardo sincero, talvolta autobiografico e mai retorico.

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Senegal, Marocco, Tunisia, Mali e Rwanda sono le direttrici da cui si sviluppano le trame di questi corti tra cui ne abbiamo selezionati in particolare sei. Opere di giovani registe e registi che incrociano i loro sguardi sulla condizione della donna nella società contemporanea, alla ricerca della propria dimensione fisica e spirituale. Un viaggio rivoluzionario che parte da lontanissimo, proprio da quella parte di mondo in cui le tradizioni e la cultura patriarcale sono così radicate. Ma lo sguardo delle giovani donne, madri e figlie, che ci guida nella visione e interpretazione di queste storie, acquista una dimensione universale che supera i confini spaziali o culturali tra Africa e Occidente.

Si parte da Astel, di Ramata-Toulaye Sy. Un film che prende il nome dalla sua protagonista, una giovane ragazzina che vive in un villaggio senegalese con la propria famiglia. Tutte le mattine, Astel accompagna il padre che guida le mucche al pascolo. L’apparente status quo nella vita della ragazzina viene, però, ribaltato. Basta uno sguardo del padre per cambiare tutto. La bambina che accompagna il papà tutte le mattine è diventata abbastanza grande e si appresta ad affrontare l’età adulta. Ecco che durante il passaggio di consegne tra l’infanzia e la pubertà anche i ruoli devono cambiare. Allora Astel non può più seguire il padre, non può più mangiare con lui e i suoi fratelli. Deve cenare con la madre e le sorelle e la mattina deve recarsi con loro nei campi di granoturco. La regista ci restituisce attraverso l’uso del fuori fuoco tutto il senso di smarrimento provato dalla protagonista durante questo silenzioso e inspiegabile cambiamento. È tutto confuso nella testa di Astel ma alla fine, dopo aver aspettato invano il padre e insieme a lui il ritorno dell’infanzia, accetta il suo nuovo ruolo di donna “entrando” nel campo di granturco. La giovane regista franco-senegalese realizza un delicato ritratto di formazione e crescita africano che segue passo dopo passo la giovane protagonista, quasi tenendola per mano per confortarla.

Il distacco tra madre e figlio e le inevitabili conseguenze che ne derivano sono invece il tema toccato dal cortometraggio di Saïd Hamich, The departure. Un’opera fortemente autobiografica, ambientata in Marocco nel 2004, che racconta dell’esilio forzato di Adil, un bambino di 11 anni, dalla propria terra d’origine verso la Francia per volontà del padre. È il distacco definitivo da un mondo che il ragazzo, crescendo, imparerà a disconoscere. La madre, gli amici, il bar, le partite a flipper, riconoscere ad occhi chiusi le strade dove si è cresciuti, tutto diventerà uno sbiadito ricordo nel cuore del piccolo. La Francia, rappresentata dalla ragazza del fratello di Adil, agli occhi dei ragazzi marocchini è quasi come un’aliena, una realtà altra, troppo lontana da loro. E forse è proprio questo lo shock maggiore per Adil, il quale viene proiettato in un altro mondo senza la propria madre, sua principale figura di riferimento. Ed è proprio nelle toccanti sequenze in cui madre e figlio condividono l’inquadratura che Hamich mostra quanto il suo sia un film personale. Gli occhi di Adil sono il filtro che amplifica la percezione dello spettatore nei confronti del dolore di una madre che non ha il potere di impedire questa tragica separazione. Il corto si chiude in un crescendo di pathos in cui la memoria storica si mischia a quella dei sentimenti. Un’opera vera ed emozionate, difficile da dimenticare.

La condizione dell’essere-madri è ripresa anche nel breve ma incredibilmente riflessivo corto d’animazione On the surface, diretto dalla regista franco-maliana Fan Sissoko. In questo caso, la regista analizza la propria personale esperienza di essere una madre-immigrata in un paese completamente diverso da quelli di origine. Trasferirsi con la propria figlia in Islanda ha inevitabilmente generato nella regista una sensazione di non-appartenenza. Ma la riflessione di partenza, grazie al veicolo dell’animazione, tocca un’inaspettata dimensione poetica. L’acqua in cui la protagonista si immerge diventa un elemento salvifico, in grado di produrre una riflessione sulla propria identità come persona e come madre. Ecco che l’appartenenza non è più legata ad un luogo, ad un paese ma diventa un concetto prima di tutto umano, di dipendenza reciproca madre-figlia. “Da dove vieni? Tu vieni da me.”

La libertà della donna è, invece, il tema toccato da Chitana, secondo cortometraggio di Amel Guellaty. Dal Mali ci si sposta in Tunisia, dove due sorelle ricevono per la prima volta il permesso di andare a giocare dove preferiscono, “proprio come i maschi”. Le due bambine, mai così libere di poter fare ciò che vogliono, si spingono alla scoperta di un bosco nelle vicinanze di casa. Le coordinate spazio-temporali saltano momentaneamente e in una “dimensione sospesa” le due sorelle fanno letteralmente quello che vogliono. La parola libertà assume, in questo senso, connotati più spiccatamente anarchici e le due ragazzine, dopo diverse vicissitudini finiscono nei guai (Chitana in arabo significa “fare il diavolo a quattro”). Ma non è la fine del mondo, sembra dirci Guellaty e il sorridente sguardo in camera di una delle due protagoniste con cui si chiude il corto è un vero e proprio inno alla libertà e voglia di vivere, tutta al femminile.

Si scende in Rwanda e questa volta è il tema dell’appartenenza ad essere sollecitato di nuovo. Home, di Myriam Uwiragiye Birara è un film crudo e di denuncia nei confronti dell’impossibilità da parte di giovani donne appena uscite da un matrimonio turbolento, di rifarsi una vita altrove. La protagonista del cortometraggio, vittima di violenze domestiche, decide di ritornare nella propria casa d’origine ma qui viene di nuovo cacciata, questa volta da uno dei fratelli perché considerata indegna. È il tragico destino di queste donne che, oltre a non ricevere alcun briciolo di umanità, perdono completamente la propria identità, il proprio senso di apparenza a qualcosa. E, in questo senso, il concetto di casa, perde qualsiasi tipo di valore.

Infine, un corto che probabilmente non rientra nella tematica dell’appartenenza ma che probabilmente, più di tutti, merita che venga spesa qualche parola a riguardo.

Blind Spot, di Lofti Mort è un corto d’animazione che riporta in vita un uomo desaparecido nella Tunisia di Ben Ali. Le immagini dai toni scuri che replicano le ombre dei personaggi sono accompagnate dalla voce fuori campo del protagonista. Questi racconta di come sia stato torturato e assassinato. Poi, l’insabbiamento e una verità taciuta per più di vent’anni, riportata alla luce dalla potenza dell’animazione. Un reportage di denuncia che riesce anche ad emozionare quando entra in scena la madre del protagonista, mai rassegnata a scoprire la verità sul conto del figlio. Un’opera difficile da digerire ma di grande spessore, premiata al Fipadoc come miglior cortometraggio.

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