Une jeunes fille qui va bien, di Sandrine Kiberlain

Il film, presentato in anteprima alla Semaine de la critique, è la storia di Irene e la sua famiglia, vittime delle persecuzioni razziali in quanto ebrei. In concorso al Torino Film Festival

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Per raccontare le terribili conseguenze delle persecuzioni razziali fasciste in Francia, Une jeunes fille qui va bien si affida ad una rappresentazione d’epoca che lavora in sottrazione, attenta non hai costumi, ma più semplicemente all’eliminazione di oggetti estranei al periodo considerato, l’anno è il 1942. Protagonisti sono una giovane ragazza, quella del titolo, e la sua famiglia, il padre, il fratello e la nonna. Tramite loro, ebrei di Parigi, si descrivono le misure umilianti messe in atto dal governo, le limitazioni, le confische, autorizzate da un preciso piano di emarginazione. In mezzo a tutto questo, Irene coltiva un sogno, entrare in Accademia e diventare attrice di teatro. Chi la interpreta, Rebecca Marder, componente della Comédie-Française, restituisce al ruolo degli attributi eccentrici, enfatizza gesti e movimenti con un’esuberanza perfetta per la parte. Un atteggiamento guidato dalla passione per un mestiere diverso dagli altri, al quale dedicare anima e corpo. Comportamento si potrebbe dire quasi automatico quando riguarda la spensieratezza di un’adolescente impegnata a disegnare il suo futuro nel miglior modo possibile, a coltivare l’amicizia e l’amore. La progressiva perdita dei diritti, fino all’infamia della marchiatura con la stella gialla ad indicare l’origine giudaica, è un appendice tragica, che si preferirebbe ignorare, non fosse tanto invadente da cambiare il destino di tutti loro. Un disinteresse figlio della paura di perdere l’accesso alla normalità.

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Il copione di Une jeune fille qui va bien, opera prima come regista dell’attrice Sandrine Kiberlain, procede per gradi,e al dato storico, viene affiancato l’avvicinamento alla data dell’esame di ammissione. Le location sono distribuite in maniera uniforme tra i due spartiti, le prove, con i dubbi, la finzione, da una parte. E la casa, dove emergono le preoccupazioni, il luogo deputato ad intercettare il degrado della realtà del mondo negli umori dei suoi abitanti, la ribellione, la rabbia, insieme allo sconforto dell’impotenza. Il regista nonostante tutto sceglie una narrazione poco cupa, piena di speranza, usa i versi di una commedia o il suono di un flauto, usa i sorrisi e gli abbracci per rifiutare l’assurdo. Lascia certo dei segnali preoccupanti, ma si rifiuta di guardare nel buio, almeno fino al momento in cui sarà impossibile da evitare. Quello che non può dimenticare sono le responsabilità precise, la complicità di chi aveva il potere, ed il dovere, di opporsi, cioè la classe dirigente, preoccupata come sempre di guardare ai propri interessi. Del popolo sceglie di fornire una versione sorpresa, solidale, anch’esso spaventato dalle ritorsioni.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
4 (3 voti)
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