Une jeunesse italienne, di Mathieu Volpe

Primo lungometraggio documentario del regista che affronta le difficoltà di due giovani sposi divisi. Mentre lui cerca lavoro in un’Italia spietata, lei lo attende speranzosa. Dal RIDF 2023

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Sokuro e Nassira sono una giovane coppia di sposi. Lui vive in Italia e i soldi che guadagna li spedisce a casa, in Burkina Faso, dove lei lo attende.

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Une Jeunesse Italienne è il primo lungometraggio documentario del regista Mathieu Volpe, che nel 2019 aveva esordito con il corto documentario, Notre territoire. Cresciuto in Italia ma di famiglia belga, Volpe sa raccontare con delicatezza le difficoltà di chi si sente diviso tra due orizzonti.

Une Jeunesse Italienne è un film politico quanto sentimentale. Se nella prima parte del lungometraggio seguiamo Sokuro e le difficoltà che vive tra il lavoro e la relazione a distanza, nella seconda parte vediamo gli sforzi di Nassira. Circondata da una comunità di donne, che, come lei, sono confinate all’attesa, Nassira viene inizialmente inquadrata nel sogno infantile dell’innamoramento, tra veli e lenzuola rosa. A tratti ci sembra ancora una bambina. “Mio marito ha un lavoro normale in Italia”, rivela alla parrucchiera mentre si fa bella per lui, guardandosi allo specchio. Il suo orizzonte non è speculare a quello di Sokuro. Mentre lei non si rende conto della realtà quotidiana del marito, neanche lui comprende il dolore della giovane.

È un film fatto di sguardi. Nel buio delle rispettive stanze, la luce fredda dello smartphone inquadra i volti angosciati dei due sposi. Lo smartphone colma la distanza geografica ma il rapporto tra i due è fatto anche di incomprensioni. “In Burchina non sanno che facciamo qui per guadagnare”. Sokuro si filma mentre è al lavoro ma si lamenta del fatto che la moglie non guardi i video.

I silenzi sono colmati da una leggera musica da pianoforte e da un’attenzione all’immagine, dove il basso contrasto e la bassa saturazione danno lo spazio necessario a ciascun personaggio.

L’Italia è un panorama grigio e inesplorato; bastano pochi dettagli per fare intendere allo spettatore che non siamo in Africa. Udiamo una voce italiana, con un accento leggermente settentrionale, discutere con Sokuro. Il volto non viene inquadrato, restiamo sul primo piano del giovane, tra sorrisi sinceri e imbarazzati. Sokuro parla bene l’italiano; è la lingua che utilizza quando riaccompagna a casa il fratello più piccolo.

Che cosa resta dell’Italia in questa narrazione?

Dopo aver perso il lavoro nell’azienda meccanica a Gardone, Sokuro vive di insonnia, come un vagabondo. Passa il suo tempo a inviare curriculum senza ricevere risposte. “Facciamo i lavori che non stanno più bene agli italiani. In Italia non sei nulla senza lavoro.” È lui a pagare l’affitto della moglie, oltremare; determinate tradizioni vanno rispettate. Vediamo così due universi lontani, inconciliabili, che Sokuro cerca di tenere insieme, tra le pressioni familiari e quelle che impone a sé stesso.

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