Vecchie canaglie, di Chiara Sani

Piena di errori tecnici e pregna di una comicità al limite dello squallore, la prima regia di Sani si può considerare un terrificante revival delle fiction italiane anni ’90. Da oggi in sala

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L’iconica frase pronunciata da René Ferretti nella terza stagione di Boris accostata al primo film diretto da Chiara Sani Vecchie canaglie, può sviscerarne a briglia sciolta tutta la sua grande visione provocatrice e critica sui prodotti italiani, tanto scimmiottati dalla serie e purtroppo molto spesso fuori oggi dalle evoluzioni stilistiche e narrative apportate dalla modernità cinematografica e televisiva. Ovviamente non è che ci si aspettasse dalla prima regia dell’attrice bolognese l’Amici miei della nostra epoca, ma sicuramente era lontana, ma non totalmente ignorata, l’idea di trovarci dinanzi un prodotto così dannatamente malandato che, oltre a far pensare ad un folle auto sabotaggio architettato sia dalla produzione che dalla troupe stessa, assume il “fascino” malsano di un terrificante revival delle fiction italiane anni ’90-’00. Ma andiamo con ordine.

La storia si ambienta in una squallida e decadente casa di riposo, dove dei “simpatici” vecchietti cercano in tutti i modi di far fronte ai problemi della struttura e in particolar modo alla noia e alla solitudine. Nonostante ciò la proprietaria dell’istituto, interpretata da Sani stessa, decide di cederlo, anche a costo di buttare in mezzo alla strada i suoi poveri ospiti. Sarà un gruppetto di anziani, capitanati da Walter (Lino Banfi) ed aiutati da suo figlio Renny (Greg), a cercare di risolvere la situazione, percorrendo anche delle vie tendenzialmente pericolose.

Vecchie canaglie cerca disperatamente per tutta la sua durata una propria identità comica, attaccandosi con le unghie e con i denti nel proporre gag, non solo ammorbate dall’odore ammuffito del “già visto”, ma perennemente appese sul filo sottile posto tra lo squallore involontario e il trash da cinepanettone. Colmo di situazioni ripetitive e tirate ad oltranza da dialoghi estremamente prolissi ma emotivamente vuoti, complice anche le interpretazioni sottotono dei suoi attori, il film tenta di portare anche una minuscola critica sociale riguardo il deprimente abbandono di tanti poveri anziani nelle case di riposo. Il principio è anche dei migliori ma, colpa di una retorica sterile e dall’argomentazione scolastica, tale riflessione progressivamente si accartoccia su sé stessa, pian piano divenendo un elemento sempre meno contemplato nella realtà del film. Oltre ad una narrazione carente sotto ogni punto di vista, un altro grosso problema di Vecchie canaglie è il comparto tecnico. Alternando spesso inquadrature distorte e sul limite della sfocatura ad una fotografia che passa da dei livelli di cromatura grigi e minimali ad un bombardamento di colori immotivato e fin troppo esibito, il film si presenta approssimativo da un punto di vista formale che fa presagire anche la poca fiducia data fin dall’inizio al progetto. Per non parlare dell’effettistica degna delle commedie anni ’70 e del montaggio ripetitivo e amatoriale, Vecchie canaglie assume la simbologia di un vaso di Pandora contenente tutti i mali dei prodotti italiani, in particolar modo delle fiction. Al servizio di un pubblico generalista e qualitativamente insufficiente, il film riporta le formulette già collaudate da tempo immemore nel panorama televisivo nostrano, ovvero raccontare una storia socialmente e superficialmente impegnata, condita dai volti tanto cari al pubblico e interpreti di una comicità mai elaborata, ma sempre circoscritta attraverso dei codici esenti da qualunque sguardo intimo ed autoriale.

 

Regia: Chiara Sani
Interpreti: Lino Banfi, Greg, Andy Luotto, Andrea Roncato, Pippo Santonastaso, Gino Cogliandro, Federica Cifola
Distribuzione: Orange Film
Durata: 100′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1
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Il voto dei lettori
3.11 (9 voti)
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