#Venezia73 – Un lupo mannaro americano al Lido. Incontro con John Landis

Il regista incontra i giornalisti in occasione della proiezione al Lido della versione restaurata in 4k di Un lupo mannaro americano a Londra, e spiega l’unica regola dell’umorismo: “niente è sacro”

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“Il concetto di sacro non esiste. Nessun argomento è intoccabile”, questo il segreto dell’umorismo di John Landis, rivelato dal Maestro himself ai giornalisti di Venezia, incontrati in occasione della proiezione al Festival della versione restaurata in 4k del capolavoro Un lupo mannaro americano a Londra (1981).
Landis racconta ancora una volta l’aneddoto per cui l’ispirazione sul film gli sia venuta assistendo ad un bizzarro funerale con rituale anti-zombie incrociato casualmente in ex-Jugoslavia nel 1969, mentre era al lavoro sul set di Kelly’s heroes di Brian G. Hutton: “pensai a quale creatura soprannaturale potesse essere altrettanto internazionale quanto i fantasmi, e così scoprii che ogni cultura ha la propria versione del lupo mannaro, o dell’uomo che si trasforma in animale.”
L’ambientazione londinese fu invece dettata soprattutto dal regime fiscale particolarmente favorevole che all’epoca veniva destinato nel Regno Unito alle produzioni cinematografiche, motivo per cui molto cinema di genere degli anni ’70 e ’80 andava in trasferta in Inghilterra, “e poi Londra è la città in cui arriva Dracula, la città di Jack Lo Squartatore, dei castelli di Stevenson…”.

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Per Landis non c’è nulla di più facile che spaventare lo spettatore, basta mettere in scena qualcosa di obiettivamente orribile, o scandaloso come faceva Russ Meyer con le continue provocazioni di cui sono pieni i suoi film: molto più difficile è fare in modo che il pubblico si affezioni alle sorti dei personaggi che vede sullo schermo, e le sue reazioni nascano proprio dai destini dei protagonisti“è come con lo humour, è un patto sottile tra il regista e i suoi interlocutori, non è soltanto la barzelletta ma chi la racconta, e in quale maniera. Il mio umorismo ad esempio si basa fondamentalmente su quello che fa ridere me!”
Landis ammette il senso di colpa per aver dato vita con Animal House al genere collegiale, fatto non sempre di titoli dignitosi, e sorride: “in tanti hanno provato a fare, apertamente o meno, un remake di quel film. I remake esistono da sempre a Hollywood, anche Ben Hur di Wyler lo era! Se un film è buono non importa che sia un’altra versione di una storia che già esiste, l’originale rimane lì: al mondo esistono migliaia di ritratti della Vergine Maria, sono tutti remake del ritratto della Madonna?”

Qualcosa bolle in pentola per il cineasta, non proprio prolifico negli ultimi anni, passati soprattutto ad “evitare di perdere tempo con progetti potenzialmente orribili”: un esperimento collettivo con altri autori di base a Chicago di cui non può svelare nulla, e poi lavori nel campo pubblicitario, dove “fortunatamente il tuo nome non appare sullo schermo!”

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