“Non è giusto” di Antonietta De Lillo

La Napoli descritta dalla De Lillo riesce a proporsi come una città finalmente “normale”, lontana dalle classiche “derive” cartolinesche ma pure distante dall’altro stereotipo della metropoli oscura e claustrofobica tanto spesso proposta negli anni Novanta

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Il mondo visto “ad altezza di ragazzino”. Per il suo nuovo film, il primo di finzione dai tempi dell’episodio “Maruzzella” de “I vesuviani” (1997), Antonietta De Lillo sceglie di utilizzare un punto di vista rischiosissimo, perché sempre pronto a lasciarsi risucchiare dal gorgo del patetismo.
Invece, il suo “Non è giusto” si lascia apprezzare, anzitutto, per i modi nei quali è svolta la narrazione: secchi e asciutti, quasi da thriller dei sentimenti. E, in tal senso, la sequenza conclusiva ben rappresenta l’intero film, con i due piccoli “complici” Sofia e Valerio – i sorprendenti Maddalena Polistina e Daniel Prodomo – inquadrati al porto di Procida, seduti di fronte al mare e indecisi sul da farsi (se separarsi o meno): e il pieno manifestarsi del loro orizzonte sentimentale sarà affidato al caso e legato – con un montaggio alternato tra un traghetto che attracca e un pesce che non ne vuol sapere d’abboccare – all’esito d’un tipico giochino pre-adolescenziale.
Sofia e Valerio si confrontano costantemente col loro non esser più bambini senza essere ancora adolescenti: guardano al mondo degli adulti – denso di nevrosi e piccole e grandi immaturità – in cerca di punti di riferimento che, forse, sanno di non poter trovare. Il luogo comune non appartiene ancora ai loro modi d’essere: non a caso, quando Sofia chiede a Valerio – di fronte al classico panorama del golfo – se gli piace o meno Napoli, questi le risponde, testualmente, “Madonna, mi sembri mio padre”. A Valerio piacciono i vicoli, perché – lo dice poco dopo – “c’è l’ombra”. E la Napoli descritta da Antonietta De Lillo riesce a proporsi allo spettatore come una città finalmente “normale”, lontanissima dalle classiche “derive” cartolinesche ma distante, al tempo stesso, pure dall’altro stereotipo della metropoli oscura e claustrofobica tanto spesso proposta nel corso degli anni Novanta: la Napoli agostana del film, deserta e assolata, attraversata dai due ragazzini e dai loro padri divorziati, rivendica la propria normalità senza, per questo, fare a meno della sua identità più intima. I bambini ci (la) guardano: e il loro sguardo è sempre privo di sovrastrutture.
Gran merito, nella costruzione del clima “mentale” e sentimentale del film, va ascritto – oltre che alla scelta della regista di girare in digitale, con cineprese leggere e capaci di seguire le traiettorie (interiori) dei personaggi – al raffinato commento sonoro di Antonio Fresa, essenziale e poetico come sa essere un ragazzino quando si confronta, magari per la prima volta, con la realtà che lo circonda.
Regia: Antonietta De Lillo
Sceneggiatura: Antonietta De Lillo, Mattia Betti
Fotografia: Cesare Accetta
Montaggio: Giogiò Franchini
Musica: Antonio Fresa
Scenografia e costumi: Giancarlo Muselli
Interpreti: Maddalena Polistina (Sofia), Daniel Podromo (Valerio), Antonio Manzini (Giacomo), Valerio Binasco (Matteo), Monica Nappo (Graziella), Antonella Stefanucci (Paola), Lucia Ragni (nonna), Rosa Di Brigida (Cinzia), Nadia Carlomagno (Stella)
Produzione: Megaris/Mikado Film/Bianca Film
Distribuzione: Mikado
Durata: 102’
Origine: Italia, 2001

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