Alice e il sindaco, di Nicolas Pariser

Un cinema pieno di belle intuizioni e capace criticare duramente la società contemporanea senza scadere nella banalità, l’opera di Pariser è stata designata Film della Critica dal SNCCI

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Alice e il sindaco rientra in quella parte di cinema francese rimasto fedele al lascito politico e sociale trasmesso dalla Nouvelle Vague. Quel “cinema della parola” che riporta alla mente uno dei maestri del movimento, Éric Rohmer, scrittore di dinamiche semplici e perlopiù quotidiane dove i personaggi sono la rappresentazione di un esame sociale ed etico che pone l’uomo al centro di tutto.

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Paul Théraneau (Fabrice Luchini) è il sindaco di Lione, il quale dopo trent’anni di politica si ritrova a corto di idee; attraversa così una fase di vuoto esistenziale. Per rimediare a questa crisi assume Alice (Anaïs Demoustier), una giovane filosofa che insegna a Oxford.
Queste due personalità agli antipodi, per poter arrivare a un punto di incontro, dovranno mettere in discussione sé stessi e le loro vite. I richiami a Rohmer nell’opera di Nicolas Pariser sono facilmente intuibili: il racconto è continuamente verbale e si muove attraverso i desideri inespressi, le crisi esistenziali e i dubbi dei due personaggi principali, nonché sui loro incontri e conversazioni; il resto è estremamente secondario, come i personaggi di contorno e la stessa vita intima della protagonista. Il cercare di dar più spessore alla vita di Alice, facendole incontrare diversi personaggi nel suo cammino e cercando di conferirle una parvenza di reale e quotidiano, diventa un’arma a doppio taglio, perché a far brillare quest’opera sono proprio i dialoghi stimolanti tra i due protagonisti, capaci di ispirare e accrescere lo spettatore. Si tratta di un film che punta tutto sulla scrittura, manipolata da un citazionismo fortemente filosofico e letterario, con tanto di opere famose al seguito (Le fantasticherie del passeggiatore solitario – Rousseau; Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street – Herman Melville) e altrettanti autori (Orwell, lo stesso Rousseau e Illich), necessari per rappresentare l’incontro tra due generazioni tanto lontane tra loro eppure accomunate da una sfilza di valori nella quale ritrovarsi e capirsi.

Non solo cinema di parola, ma anche cinema politico. Le tematiche del film sono tutte moderne: la lotta per il progresso, che eticamente dovrebbe funzionare solo quando limitato in rispetto alle risorse della Terra anziché surclassarle; l’eterno conflitto tra destra e sinistra, incentrato sul come destra e sinistra non siano più quelle di una volta né intese com’erano intese prima, soprattutto la sinistra democratica, che ha perso il contatto con il popolo quando invece avrebbe dovuto porlo come base per la costruzione di uno stato di diritto – proprio come stabiliva il concetto di decenza comune di Orwell; e i partiti politici, che sembrano aver perso ogni forma di ideale e moralità tipici di quando al governo c’erano gli intellettuali.
Altro punto dolente della società contemporanea, il film si domanda se gli intellettuali sono ancora necessari per il progresso politico e sociale di un paese: che dialogo può esserci tra il politico e l’intellettuale? Un politico può oggi essere anche un intellettuale? Il film sottolinea come il fronte politico abbia la convinzione di pensare agli intellettuali come esseri buoni solo a pensare, senza avere però la capacità di trovare soluzioni e metterle in atto. Ma nella storia raccontata è proprio il sindaco, il politico, a ritrovarsi a mezz’età senza più idee, ad aver bisogno proprio di uno di loro, di una filosofa, per riportarlo ai valori della filosofia più tradizionale, da sempre capostipite del mondo delle idee e del pensiero. La visione sociale e culturale del politico, divenuta ormai pubblicità, uno slogan utile soltanto a fomentare il paese più che sapere per cosa lo si sta fomentando, si riassume quindi nell’idea di cancellazione di ogni aspetto pensante. Dobbiamo accettare che politica e cultura siano necessariamente due cose distinte e che non possono coesistere?

Forse la politica ha bisogno degli intellettuali ancora oggi, ma al tempo stesso potrebbero non “funzionare” in un mondo stanco e troppo incredulo, anche nei confronti della verità. Questo è il pretesto da cui parte il regista, che prova a sperimentare in un mondo cinematografico composto soprattutto da azione, colpi di scena e script atti principalmente a emozionare, basando la sua opera interamente sui dialoghi, sia come stile che come forma, mettendo in risalto la situazione politica attuale. Magari i movimenti, i partiti e le strategie odierne cercano di riportare alla luce tutte quelle cose già viste e subite in passato, come populismo, fascismo e nazionalismo, pur sapendo che non funzioneranno, sia per accaparrare voti, ma anche per la sopracitata mancanza di idee.

Quella portata in scena da Pariser è una riflessione sul mondo delle idee che si fa spunto davvero intelligente, che gli consente di criticare duramente la società contemporanea senza scadere nella banalità, sottolineando la presenza di una crisi democratica dovuta proprio al fatto che le persone hanno smesso di pensare.

 

Titolo Originale: Alice et le maire
Regia: Nicolas Pariser
Interpreti: Anaïs Demoustier, Fabrice Luchini, Antoine Reinartz, Nora Hamzawi, Léonie Simaga
Distribuzione: Bim
Durata: 103′
Origine: Francia, Belgio 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.22 (9 voti)
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