Baby Reindeer, il loop infinito

La denuncia della vera “Martha” verso Netflix per danni è l’ultimo atto del loop di un progetto seriale che sembra continuare a mandare in cortocircuito gli argini della verità

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Il successo di Baby Reindeer ha trasformato molti spettatori in cacciatori, spingendoli a mettersi sulle tracce della vera Martha Scott, trasformandoli – attraverso una manciata di clic – negli stalkers di una stalker. Una matrioska infernale che ha visto consumarsi un nuovo capitolo della sua contorsione quando il giornalista e conduttore televisivo britannico Piers Morgan ha invitato la presunta vera Martha nel suo programma Uncensored. Fiona Harvey (la donna che si sostiene abbia perseguitato il comico scozzese Richard Gadd) ha raccontato di essere stata costretta a concedere l’intervista a causa delle minacce ricevute dalla moltitudine della rete. Un testacoda che sembra riservare alla presunta carnefice un destino uguale e contrario a quello conosciuto dalla sua vittima. La realtà rappresentata in una serie erompe dal suo spazio di finzione per tornare nel reale e continuare nella sua opera di liberazione di Gadd e di annientamento di Martha. Ma Fiona Harvey, la “vera” Martha non sembra volersi arrendere all’oblio o perlomeno a divenire l’oggetto di una narrazione così orientata, in apparenza senza contraddittorio. È del 6 giugno, infatti, la notizia che la donna ha citato in giudizio la stessa Netflix per i danni arrecati dalla serie alla sua persona ed in particolare per capi d’accusa che vanno dalla diffamazione ai danni per stress emotivo passando per errato utilizzo della sua vicenda personale per fini creativi (il cosiddetto Right To Publicity).

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Le bugie che gli imputati hanno raccontato su Harvey a oltre 50 milioni di persone in tutto il mondo includono che Harvey è uno stalker due volte condannato a cinque anni di prigione e che Harvey ha aggredito sessualmente Gadd“, si legge nella denuncia, che poco dopo aggiunge che “si tratta di una bugia raccontata da Netflix e dal creatore della serie, Richard Gadd, per pura avidità e desiderio di fama, il tutto pensato per attrarre più spettatori, raccogliere più attenzioni e generare maggiore guadagno“.

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Se il manifesto di Baby Reindeer mostra un’enorme figura femminile incombere su un piccolo uomo in bottiglia ebbene la sua narrazione ribalta il paradigma: siamo in presenza del racconto di una persecuzione che in breve sfuma, si ripete meccanicamente fino ad essere relegata sullo sfondo in favore di una meticolosa ricognizione nella psicologia del perseguitato. Gadd che è attratto/spaventato da Martha condivide con la donna la stessa ossessione narcisistica (quella che guida anche gli altri due personaggi chiave della serie: la terapeuta transgender Teri e lo scrittore di successo Darrien) ma che nel caso del comico può permettersi il lusso di auto-flagellarsi, di piangersi addosso, di continuare a sbagliare proprio perché riposa su una certezza inscalfibile: Martha stessa. Ed ecco allora che la minaccia diventa la risorsa di un uomo che non sa denunciare un abuso perché neppure lo vede intento com’è a contemplare, per dirla con le parole di un poeta, “la lotta più dura” che è quella “che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti”. Richard Gadd oggi è un artista di successo, il protagonista di una serie Netflix da lui scritta e che di lui parla ininterrottamente, dichiara di aver superato le incertezze legate al proprio orientamento sessuale e tutto grazie a una stalker che gli avrebbe dovuto/potuto rovinare la vita.

Baby Reindeer

Forse è questo colossale paradosso a rendere Baby Reindeer una visione tanto disturbante. Non è il senso di colpa che proviamo nel “detestare” Martha, non è neppure la voce interiore che continua a ripeterci quanto la condotta e le scelte di Richard siano meno lontane da noi di quanto vorremmo illuderci, ma piuttosto il “dubbio morale” che se la serie esiste, allora forse tutto il male procurato può essere stato un bene?

Una storia ambigua e potente che avrebbe meritato una confezione meno accomodante e che invece si accontenta di narrare (come fosse un podcast, d’altra parte l’autore è uno stand up comedian) anziché mostrare, in un continuo coito interrotto identico a quello che il protagonista sperimenta ogni volta che tenta un approccio amoroso. Eppure qualche scheggia fuori controllo resta: come quando Richard a un passo dal baciare Teri in metropolitana proietta il proprio terrore di farsi carne negli occhi dei passeggeri indifferenti. Le porte si aprono e lui, senza guardare, fa un passo indietro. Il convoglio riparte, l’appuntamento con la vita è nuovamente rimandato.

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