BFM42 – Incontro con Lukas Moodysson

In occasione della retrospettiva Europe Now! dedicata al suo cinema dal Bergamo Film Meeting, abbiamo incontrato il regista svedese subito dopo la proiezione del suo ultimo film Together 99

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Il cinema di Lukas Moodysson è pieno di energia. All’interno dei suoi film i protagonisti maturano il desiderio, che è più una necessità, di ribellarsi. L’opposizione ad una forma, più o meno concreta, di potere costituito, è legata al desiderio di unirsi in un nuovo ordine collettivo, la comune. Qui è la comunità ad esercitare regole reciprocamente scambiate, senza alcuna imposizione dall’alto. Ma la molteplicità produce inevitabilmente conflitto,  che è, a tutti gli effetti, il cuore rappresentativo di un cinema si collettivo ma allo stesso tempo, profondamente introspettivo. Moodysson possiede la capacità di parlare in modo diretto al proprio pubblico, creando identificazione ed empatia tra pubblico e personaggi.

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Abbiamo partecipato all’incontro con il regista svedese organizzato dal Bergamo Film Meeting, in occasione della retrospettiva Europe Now! dedicata al suo cinema (oltre che a quello di Frederikke Aspöck e Metod Pevec).

L’incontro riprende tutta la carriera di Moodysson, dal suo esordio alla regia nel 1998 con Il coraggio di amare, passando da Lilja4-Ever, fino al più recente Together 99. Moodysson racconta la sua vocazione per storie semplici e a chi gli chiede quali siano le sue principali influenze cinematografiche, il regista svedese risponde, senza pensarci troppo, con il nome di John Cassavetes.

Io voglio raccontare delle storie semplici, sicuramente non complicate o ingarbugliate. Chi si ritrova all’interno dei miei film lo fa per un motivo semplice. Per quanto riguarda Cassavetes, vi racconto un aneddoto: durante le riprese del mio primo lungometraggio non avevo ancora un’idea precisa di come girare le scene. Ero abbastanza preoccupato, non sapevo come fare e allora mi sono detto: facciamole alla Cassavetes! Per quest’ultimo film (Together 99), invece, mi sono recuperato tanto cinema russo ma ho anche avuto la possibilità di lavorare con una documentarista, che mi ha sicuramente offerto un nuovo modo di guardare alla realtà.

A proposito di influenze cinefile, c’è chi tra il pubblico nota qualche somiglianza tra alcuni personaggi femminili del suo cinema con altri del cinema di Ingmar Bergman. D’altro canto, Moodysson si riconosce sicuramente più interessato ad aprire il discorso del suo cinema al collettivo.

Se ho pensato ai personaggi femminili di Bergman? Onestamente no, ma mi piace questa domanda perché, a posteriori, ci sono delle cose che effettivamente ritornano. Magari non l’ho fatto di proposito ma inconsciamente ho ripreso qualcosa dal cinema che amo di più. Per fare un altro esempio, c’è un personaggio in Together 99 che è un uomo di cui nessuno si ricorda. All’inizio l’ho scritto come personaggio buffo. Ma in post-produzione qualcuno mi ha fatto notare che questo personaggio così buffo non era. Anzi, poteva rappresentare metaforicamente la morte (e qui si potrebbe di nuovo richiamare il cinema di Bergman) che aleggia tra i vecchi amici. Per quanto concerne la mia tendenza a fare i film collettivi, penso proprio che la porterò avanti. Il mio prossimo progetto includerà probabilmente tra le 700 e le 300 persone all’interno di una stanza. Mi piacciono le situazioni in cui succedono tante cose insieme. Mi piace guardare cosa mi succede intorno. Il lavoro dello scrittore è un lavoro molto solitario.  Poi, però, quando arrivo sul set mi trasformo…

All’interno della sua filmografia, sempre attenta a tracciare le direttrici di ribellione e collettività si inseriscono però alcuni titoli anomali, di cui però il regista rivendica le rispettive legittimità artistiche.

A Hole in my heart e Container sono sicuramente due film anomali. Ma entrambi rispecchiano una mia vocazione giovanile. Infatti, ho iniziato abbastanza giovane nel mondo dell’arte come poeta. Il mio approccio all’arte nasce nei fatti dalla scrittura. E questi due film, sicuramente diversi dagli altri, sono i più vicini alla poesia. Cinema e poesia rappresentano due modi diversi di esprimersi. Questi due film sono sicuramente diversi rispetto ad altri che ho fatto, ma sono comunque orgoglioso di aver realizzato opere molto diverse tra loro, a costo di non piacere al pubblico.

Un’altra anomalia nel cinema di Moodysson, da sempre sguardo critico interno alla società svedese, è il film Mammoth. Ambientato negli Stati Uniti d’America vede l’inedita collaborazione tra il regista svedese e attori di fama internazionale come Gabriel García Bernal e Michelle Williams. L’esperienza extra-europea da parte del regista svedese è una grande produzione con un budget decisamente più alto rispetto al passato.

C’è un altro film che si stacca dagli altri e che ritengo meno riuscito. Sto parlando di Mammoth. In quel caso mi sono comportato come se, in quanto regista, avessi tutte le risposte, come fossi un deus ex machina. Ma quando fornisco più risposte ai miei attori, è lì che so che sto sbagliando. Detto questo con gli attori non ho avuto alcun problema, non era nel rapporto con loro il problema. È stata più con la produzione un’esperienza complicata. Il budget era troppo grande, viaggiavamo di continuo, non riposavo mai. No, non è sicuramente la mia dimensione. Non farei un altro film internazionale in questo momento. Ciò che trovo più adatto per me è fare la cosa più veloce per quanto riguarda le riprese. Non fa per me un progetto in cui devo seguire e controllare ogni singola cosa sul set.

Le ultime riflessioni che emergono dall’incontro riguardano i temi dell’impegno politico, sempre collettivo nel cinema di Moodysson, e della solitudine, elemento che esce con grande forza nel suo ultimo lungometraggio Together 99, sequel del suo precedente Together.

Per quanto riguarda Together, è un film che feci ventiquattro anni fa, ambientandolo nel 1975. Venivo da delle esperienze cinematografiche solo con attori adolescenti ed ero abbastanza distrutto… Avevo bisogno di tornare nel mondo degli adulti. Mi capitò di andare a una mostra d’arte sull’impegno politico degli anni Settanta e devo dire che mi fece molto effetto. Fino ad allora l’impegno politico l’avevo sempre relegato al periodo in cui i miei genitori erano giovani. Invece, mi colpì parecchio la continuità di quelle istanze. Il secondo film, Together 99, è più vicino alla mia età ed è un ragionamento sul venire a patti col passato, cercando di ripensare a tutte le grandi battaglie di quegli anni in cui si credeva a tutto ciecamente. Ho ripreso gli stessi personaggi di ventiquattro anni prima facendoli ritrovare dopo anni. Tutti sono asfissiati dalla paura di rimare soli. La solitudine, però, è molto complicata da rappresentare. Ci penso sempre molto. Nello scrivere è semplice esprimerla, basta dirlo. In un film bisogna mostrarlo. È molto complicato rappresentare la solitudine è basta. Quindi, per me, il modo più semplice è mostrarla per contrasto. Per mostrare la solitudine di qualcuno si deve assolutamente incontrare qualcun altro. Ecco perché i miei protagonisti si ritrovano di nuovo.

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