Blog OM – Formation

Quando Beyoncé chiama a raccolta le marching band dei più storici college black d’America per il suo show a Coachella 2018, tra majorettes con la divisa della confraternita e coreografie sugli spalti di turgore brass, compie un’operazione di pazzesco avvicinamento alla concezione di musica nera secondo Theodor Adorno (rinfrescata dalla recente raccolta di scritti adorniani Variazioni sul Jazz, Mimesis Edizioni, 2018), nel momento in cui «l’efficacia del principio della marcia nel jazz è evidente. La connessione è storicamente fondata: non solo il sassofono è preso in prestito dalle bande militari, ma l’intera disposizione dell’orchestra jazz secondo strumenti melodici, bassi d’accompagnamento “obbligati” e di mero riempimento, è identica a quella delle bande militari. […] Nella misura in cui il danzare significa movimento secondo un orientamento uniforme, nella danza a passi liberi la tendenza al marciare risulta presente fin dall’inizio; per questo il jazz all’origine si riallaccia alla marcia e la sua storia non fa che svelare questa relazione» (Sul Jazz, 1936). Non è un caso allora se gli echi marziali riscontrati da Adorno tengano il tempo non solo del film-concerto sull’evento Beycella, Homecoming (visibile su Netflix), ma anche di apologhi legati da truppe in formazione bellica come l’esercito di profili clonati di Us e l’isola caraibica sotto dittatura militare di Guava Island di Childish Gambino & Hiro Murai, i cui operai-schiavi indossano tute tutte uguali di un colore non troppo dissimile da quelle dei doppelgänger di Jordan Peele (il film di Gambino lo trovate su Prime Video). Non è più possibile neanche immaginare una landa originaria per la popolazione nera che non sia già militarizzata, come si è chiesto Slavoj Žižek ragionando della Wakanda di Black Panther? Il Mito primario sembra qui la leggendaria “rumble in the jungle”, la sfida Ali-Foreman a Kinshasa 1974, con tutto il suo corredo di ritorno al when we were kings (occhio, in questo senso, anche al Re Leone fotorealista che parla con voci quasi esclusivamente black…). E d’altronde nel Marvel-movie di Coogler vediamo svolgersi un chiaro match per la conquista del titolo tra T’Challa e Killmonger, con tanto di rivincita. Rituale fondativo della supremazia ancestrale solo sognata di un’intera comunità sedotta dall’utopia di una liberazione in una terra promessa alle origini della Storia, la vittoria di Ali nello Zaire sotto regime armato colpì l’immaginario come un pugno dritto sul grugno del terribile tiranno Mobutu.
Le tendenze musicali più contaminate del contemporaneo sembrano reagire a questo bisogno di una visione primordiale, e dalle ritmiche il più possibile tribali, lambendo vertigini da miraggio panafricano come le sequenze “in trance” di Black Panther o alcuni intermezzi di Lemonade proprio di Beyoncé. Basta guardare a com’è ritratto Christian Scott aTunde Adjuah, trombettista di New Orleans, sulla cover del suo Ancestral Recall (per non dire, appunto, del titolo dato all’album). Gran disco, fuori per Ropeadope Records, è interamente basato su intrecci di percussioni ed elettronica su cui Adjuah intesse le note del suo strumento insieme ai molti guest presenti nelle registrazioni: ma il fulcro è tutto sulla potenza sciamanica dei pattern da danza etnica, e delle litanie rap dello slam poet Saul Williams che corredano i brani. Facile immaginare Childish Gambino dimenarsi anche su questi tribalismi: per tornare ad Adorno, tra This is America e Guava Island, la danza di Donald Glover sembra davvero rappresentare «l’eccentrico (che) cade certamente fuori dalla regolarità rivolta a scopi – fuori dal “ritmo” – della vita borghese. Egli è un originale e un eremita tanto quanto il clown e può ben rasentare l’ambito del ridicolo. Ma il suo cadere fuori si rivela subito: non come impotenza, ma come superiorità o comunque come sua apparenza; la risata saluta l’eccentrico solo per ammutolire poi nello shock. E il suo fallimento ha luogo non al di sotto, ma al di sopra della norma: ubbidire alla legge e tuttavia essere diverso».

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Articolo pubblicato originariamente su SentieriSelvaggi21st n.3

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