#Cannes75 – Nostalgia. Incontro con Mario Martone il cast

Nel corso della nona giornata di #Cannes75 si è svolto l’incontro con il regista Mario Martone, gli interpreti Pierfrancesco Favino e Tommaso Ragno, e i produttori di Nostalgia, in concorso

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Il pubblico della Croisette ha accolto con nove minuti di applausi la prima proiezione di Nostalgia, ultima fatica di Mario Martone. L’opera del regista campano, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo del 2016 di Ermanno Rea, è già da oggi nelle principali sale italiane.

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Nel corso della mattinata si è svolto l’incontro con il regista, i produttori e il cast del film.

In una sala conferenza gremita di giornalisti, ad accompagnare Martone ci sono gli attori protagonisti del film Pierfrancesco Favino, Tommaso Ragno e Francesco Di Leva, i produttori Luciano Stella, Roberto Sessa, Maria Carolina Terzi, Carlo Stella e la co-sceneggiatrice del film Ippolita di Majo.

La prima domanda al regista di Qui Rido Io, a Cannes per la terza volta nella sua carriera, riguarda il processo di scrittura e adattamento nei confronti del romanzo di Ermanno Rea, delle dinamiche che hanno portato alla nascita di Nostalgia.

Mentre leggevo il romanzo di Ermanno è nato un sentimento di mistero, quasi di magia, che è continuato anche quando io e Ippolita abbiamo portato avanti la sceneggiatura. Il nostro non è un film su Napoli nella sua interezza ma su un quartiere, il Rione Sanità, di cui abbiamo rappresentato la superficie ma anche il labirinto delle catacombe che giace nel sottosuolo del Rione. Questo labirinto è anche il labirinto della memoria umana, la memoria dei protagonisti, ma non solo. Ognuno di noi possiede il proprio labirinto della memoria fatto di azioni, errori, rimpianti. Dopodiché la scelta è decidere se tirare dritto o guardare indietro.

Sempre a proposito del processo di adattamento e scrittura della sceneggiatura, interviene Ippolita Di Majo a proposito della fedeltà nella trasposizione che non segue pedissequamente l’intreccio proposto nel libro ma che ne conserva temi e snodi fondamentali.

Abbiamo adattato il romanzo abbastanza fedelmente, non abbiamo riportato la struttura narrativa molto complessa del romanzo ma abbiamo preferito scarnificarla ripresentandola nel film in forma diversa. Volevamo tenere tutti quegli elementi che rendono grande il romanzo di Rea.

È la volta dei due protagonisti assoluti della vicenda, Pierfrancesco Favino e Tommaso Ragno. I due interpretano il ruolo di due amici che si rincontrano dopo quarant’anni. Il loro rapporto è molto più che una semplice amicizia, nata all’età di quindici anni. Amore e odio si intrecciano in un legame che deve fare i conti con i fantasmi del passato. In questo senso, i due attori raccontano la costruzione del proprio personaggio in funzione del rapporto con se stessi e l’altro.

Io credo – comincia Favino – che sia raro preparare una parte del genere. Quando ho letto il copione pensavo fosse un film sull’amicizia e sull’amore, invece è molto più. È stato molto difficile costruire il mio personaggio, entrare nella sua vita e nel suo rapporto con la madre e col suo amico d’infanzia.  Avete presente quell’amicizia che avete col vostro migliore amico quando avete quindici anni? Quell’amico che rappresenta la tua migliore metà?  C’è una scena che dura circa 10 minuti dove cerco di restituire il senso di cosa sia stato per me il personaggio interpretato da Tommaso. È difficilissimo da inserire queste emozioni in una scena di 10 minuti, ma è stato soprattutto molto intenso. Poi però quando è stato proiettato il film, sono rimasto molto sorpreso nel vedermi, credo che mi abbia aiutato molto essere stato lasciato libero di vivere il personaggio.

Anche Ragno racconta come ha lavorato sull’impostazione e costruzione del ruolo.

Leggendo la sceneggiatura ho trovato alcune caratteristiche della tragedia greca. Il film ha quello spessore proprio della tragedia che lo rende, a mio avviso, un’opera a sua volta. Da sempre ho trovato qualcosa di misterioso, irrazionale legato alle immagini del cinema di Martone. Per questo, volevo che anche la mia interpretazione non fosse razionale.

Alla prima lettura del copione mi è sembrato di entrare nella dimensione più intima del mio personaggio. Avevo davanti un’immensa storia d’amore, qualcosa che trascendeva la realtà e che abbracciava un orizzonte mitico.  Inoltre, credo che sia stato fatto un lavoro linguistico importante. Per quanto riguarda Pierfrancesco, è stato un incontrato emozionante. Quando reciti con un grande attore l’unica cosa che puoi fare e migliorare te stesso.

Riprende la parola Martone. Il regista cerca di approfondire le ragioni e i temi che lo hanno portato a realizzare il suo film, privilegiando un inedito racconto della sua città natale: Napoli.

Nella storia mi hanno attratto subito degli archetipi cinematografici, ad esempio il mito. Questa materia mitologica ci consentiva di giocare con l’infanzia ma anche con una realtà sociale molto neorealista. Napoli è sempre stata raccontata ma volevo andare oltre camorra, mafia e religione. Volevo parlare del sud del mondo, del delitto e di Dio. La mia necessità era mettere in scena una storia di amicizia (che è ovviamente anche una storia d’amore), influenzata da uno strato di non detto e di atti mancati e di come questo amore/odio diventi qualcosa di gigante. Volevo poi evidenziare come ciascuno di noi sia esposto dalle proprie passioni. E infine volevo far uscire un certo tipo di sensibilità che forse è espressa dalla scena in cui avviene un recupero della distanza tra madre e figlio (che non si vedono da quarant’anni) attraverso il contatto del lavaggio. In questa sequenza l’anima del film si mescola con mito.

A proposito della sequenza appena raccontata, il regista, per rispondere a una domanda della stampa, spiega il dietro le quinte e il senso profondo che si cela dietro quelle immagini.

In primo luogo, la scena si deve all’immaginazione di Ermanno Rea. Poi vorrei fare i complimenti ad una meravigliosa Aurora Quattrocchi. Quando abbiamo parlato per la prima volta del film, non le ho menzionato la scena. Volevo arrivarci con calma. Inoltre, non era mia intenzione girare la scena in penombra, volevo che si vedesse tutto. Questa è una scena che parla di malattia, di morte e di vita e non puoi girarla a trent’anni, devi essere vecchio.

La forza della scena è il simboleggiare tante cose, – aggiunge Favino – è più il viaggio di un’anima che quello di un uomo. E lavare i tuoi peccati è una tappa fondamentale di questo viaggio. Questa scena credo che sia l’unica in grado di poter legare questi due mondi in un modo allo stesso tempo simbolico e viscerale.

La conferenza si chiude con una domanda sulla tecnica di rappresentazione di Martone che alterna quadri dai forti rimandi iconografici a inquadrature in movimento con la camera a spalla. Questa tecnica è figlia di un’idea ben precisa che Martone sviluppa durante il processo di selezione di cast e location.

Il mio neorealismo, se così lo vogliamo chiamare, nasce durante la scelta di comparse e ambienti. Ho capito che stavamo sbagliando tutto: dovevamo scendere in strada, parlare con le persone che passano la loro vita in quel quartiere. E poi avevo in mente quell’idea di libertà legata al neorealismo italiano ma anche alla Novelle Vague francese. Abbiamo lasciato che gli eventi ci guidassero. Sapevamo dove volevamo arrivare ma allo stesso tempo ci siamo fatti guidare dalla spontaneità. L’ultima scena sottolinea, in questo senso, l’aspetto del labirinto in cui ci eravamo persi: Ermanno non era lì guidarmi…

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