Dawn FM – The Weeknd, lo stardom e la fine della nostalgia

L’ultimo disco di The Weeknd è solo in apparenza uno straordinario viaggio pop retrò. In realtà è un’opera che racconta lo stardom come terra di fantasmi e porta in scena la crisi della retromania

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You’ve been in the dark for far too long, it’s time to walk into the light.

Dawn FM, l’ultimo disco di The Weeknd, uscito lo scorso 7 gennaio si apre così, con una intro parlata in cui Jim Carrey, sempre meno attore, sempre più guru pronto a portare alla luce le ipocrisie dello star system, inizia a impostare la storyline del disco, di fatto un viaggio purgatoriale del cantante dal dominio del reale a quello sovrasensibile, scandito dai brani di una stazione radio, la Dawn FM, appunto, e del suo dj (“un po’ come quando si è imbottigliati in un ingorgoha detto The Weeknd a proposito). Ma a chi è destinato il messaggio che apre il disco? Il senso di Dawn FM, forse, è tutto qui.

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Dawn FM è un disco uscito all’improvviso, annunciato solo da un paio di singoli e presentato con un listening party in streaming. Niente interviste, niente comunicati, nessun tipo di promozione canonica, esattamente come accaduto con il precedente (e non a caso complementare) After Hours, uscito a marzo 2020 e presentato solo da un corto dalle atmosfere Safdiane. The Weeknd sta trasformando in convenzione la fondamentale rivoluzione comunicativa di Kanye West, un approccio sempre più transmediale, su misura, paradossalmente anticommerciale. È uno sfruttamento dell’hype culture? Solo in parte, in realtà lo è quasi di riflesso, anzi, lo stesso West, intervistato sul tema riconosce di non amare certe degenerazioni della cultura dell’hype. L’hype culture sfrutta il desiderio del pubblico nei confronti di un determinato manufatto per promuoverlo, ma i progetti di West e di The Weeknd hanno invece dimostrato che il pubblico non è più solo il destinatario del messaggio, ma diventa esso stesso oggetto di riflessione dell’artista, sempre più piegato sulla sua intimità, pronto a costruire interi dischi su temi complessi e inusuali.

Ma The Weeknd ha fatto un passo ulteriore, mettendo in atto un cortocircuito tra la sua opera ed il suo pubblico. Perché After Hours, ad oggi il suo maggior successo, è un prodotto solo apparentemente pop. La critica lo ha considerato uno dei vertici del suono Retromaniaco, ma pochi si sono accorti che quello di The Weeknd è un passato inquietante, rielaborato insieme al sound designer Daniel Lopatin, sempre più teorico di una retromania, critica, consapevole. E così, gli ascoltatori che vorrebbero scappare nel 1985, si ritrovano inconsapevolmente nell’incubo personale di The Weeknd, che proteggendosi dietro un conveniente alter ego riflette sul suo complesso rapporto con lo show business e lascia infrangere le sue insicurezze su uno spazio artefatto come l’edonismo di quegli anni, che, come testimoniano i video promozionali, l’artista attraversa con il volto tumefatto ed in uno stato di costante agitazione. After Hours è una storia di fantasmi scritta da Bret Easton Ellis, una dimensione spaventosa eppure straordinariamente seducente.

Lo stesso The Weeknd sembra cosciente della natura duale del disco, a tal punto che a Billboard, a ridosso dell’uscita, dichiarò che forse era stato un errore far uscire un lavoro del genere in piena pandemia, subodorando quanto il pubblico potesse considerare il suo album come un tentativo escapista dalla cupezza della pandemia. Forse è anche per questo che nel febbraio del 2021 The Weeknd sarà al centro di un Half Time Show radicale che da un lato lo consacra nello stardom pop ma al contempo lo chiude in un labirinto di specchi, distanziandolo irrimediabilmente dal pubblico, iniziando una pratica che tornerà anche nell’evento di presentazione di Dawn FM, in cui The Weeknd si è esibito all’interno di un cubo che lo ha isolato dagli spettatori.

No, gli ascoltatori non sono mai stati i destinatari di alcun messaggio, dunque, semmai sono il centro della strana terapia di The Weeknd, che, dopo aver impattato contro il lato oscuro del successo, dopo essere, non a caso, simbolicamente morto alla fine di After Hours, inizia un viaggio di redenzione in cui prova a plasmare lo spazio in cui opera in un’utopia a sua misura.

Dawn Fm

Quasi due anni dopo, è dunque arrivato il momento di proseguire la terapia. Concepito sempre insieme a Daniel Lopatin, Dawn FM trasporta la lucidità analitica posta in campo con After Hours nella sua interiorità. Non a caso in copertina c’è lui, invecchiato di almeno quarant’anni, quasi volesse fingere di avere l’età giusta per parlare a cuore aperto di dipendenza (come accade in Gasoline), per ammettere i suoi errori alla donna amata (How Do I Make You Love Me?), o per implorarla di non lasciarlo (Don’t Break My Heart). Sono discorsi a grana grossa, che a tratti rischiano di risultare artefatti, ma il desiderio di mettersi a nudo, di spogliarsi di tutte le sovrastrutture è evidente, inesorabile.

A cedere per prima è proprio la Retromania, di fatto il filtro necessario all’artista per processare il suo contatto con il mondo reale, che qui decade e svela i meccanismi che lo reggono. Sacrifice non nasconde in alcun modo, ad esempio, il suo debito con la produzione Jacksoniana, mentre l’elemento nostalgico viene spesso riletto seguendo traiettorie inedite, dal pop Giapponese anni ’80 (Less Than Zero) alla Vaporwave, spunti nobilissimi ormai degenerati dalla cultura dei meme. In altri casi, Lopatin e The Weeknd scelgono di giocare con le attese degli ascoltatori: così non solo Take My Breath (Away) e Less Than Zero si limitano soltanto a citare rispettivamente il classico di Moroder e l’immaginario di Bret Easton Ellis nei titoli, senza che questa connessione prosegua nella dimensione sonica, ma nel momento in cui The Weeknd coinvolge l’eminenza della black music Quincy Jones, gli affida un semplice pezzo di spoken word, senza invitarlo in alcun modo a contribuire alla produzione del disco.

E dunque, sebbene alcuni considerino Dawn Fm un altro disco che racconta il desiderio della fuga dal grigiore pandemico, l’ultimo lavoro di The Weeknd è piuttosto un’opera straordinariamente teorica che assesta un duro colpo al modo di raccontare lo stardom oggi e alla Retromania pervasiva. L’artista muore, perde la sua aura, che deve riacquisire dopo un percorso di autocoscienza ed il passato diventa uno spazio sempre più finzionale, ricreato in laboratorio, liquido, dominato dall’idea di appropriazione libera, a tal punto che perfino tre produttori svedesi come gli Swedish House Mafia, fondamentali per il sound di Dawn FM, possono diventare Quincy Jones con la giusta attrezzatura rigorosamente virtuale, s’intende, ricreata da programmi appositi.

 

Di seguito il link Spotify a Dawn Fm:

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