DOCUSFERA #2 – Sentieri Selvaggi incontra Marco Bellocchio e Francesca Calvelli

L’incontro con la redazione e gli studenti nella nostra sede romana spazia tra Marx può aspettare e Esterno Notte, tra questioni registiche e indicazioni di montaggio. Ecco come è andata

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Il progetto di Marx può aspettare era piuttosto limitato a documentare un incontro nel mese di dicembre del 2016, in occasione anche del compleanno di mio fratello Piergiorgio, ho pensato di fare una riunione di famiglia, un pranzo, in un luogo importante per noi, ovvero il Circolo dell’Unione di Piacenza, mio padre fu uno dei fondatori, ancor prima del fascismo, di questo luogo della buona borghesia”, racconta Marco Bellocchio ospite di Sentieri Selvaggi lo scorso 25 novembre insieme alla montatrice dei suoi film Francesca Calvelli. “Questo pranzo pensammo di filmarlo, vennero un po’ fuori i temi principali del film. Non pensavo di individuare un protagonista, che poi era mio fratello gemello Camillo… Ecco, da lì emerse, mi fu più chiaro che non doveva essere un film di ricordi familiari ma che avesse come centro questo personaggio evocato ma ormai morto da tantissimi anni. È partito così il lavoro che poi si è protratto per cinque anni, che, anche se con tante interruzioni, è arrivato alla conclusione l’anno scorso”.

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L’incontro con l’autore è parte della rassegna Docusfera dedicata al documentario italiano, ma quello di Marco Bellocchio è chiaramente un cinema trasversale, dai cortometraggi a Bobbio, ai film “canonici” fino ad arrivare alla serie televisiva (Esterno Notte). “Tutte queste cose nascono da spinte che sono tematiche importanti, ad esempio per Marx può aspettare, nasce con l’idea di grandi testimoni che non ci sono più. La serie non è nata col pensiero ‘adesso la faccio anch’io perché la fanno tutti’, no, mi sembrava che andare all’esterno di Buongiorno Notte, vedere in qualche modo il mondo che aveva vissuto dall’esterno, questa tragedia, meritasse un tempo più dilatato”, spiega il regista. “Da quando è stata proposta e ha trovato un interesse, è diventata una serie. Perché sei episodi? Avevo visto che i capitoli ci indirizzavano a quel tipo durata. Noi lo abbiamo lavorato come un lunghissimo film e triplicare, come se fossero tre film, era un tempo complicato”.

Le foto nell’articolo sono di Souheila Soula

Francesca Calvelli racconta la metodologia di lavoro comune: “di solito lavoro leggendo la prima sceneggiatura, con suggestioni che comunico e poi durante le riprese inizio a lavorare facendo il pre-montaggio. Mi piace iniziare a montare mentre si sta girando, per vedere, fare delle ipotesi sulle costruzioni, con idee nuove, ma devo capire com’è stato scritto e girato”.

“Marx può aspettare è stato girato senza l’idea che potesse essere un film, quindi con una libertà assoluta”, prosegue Bellocchio. “Al suo interno ha subito delle evoluzioni particolari: non c’è una sceneggiatura, ma in una bozza vi erano scene di finzione, come io che vado sul ponte Gobbo e c’è questo uomo che mi incrocia… Quindi molte scene, come l’infanzia insieme, si sono autoeliminate. Interviste come quelle di mia cognata, o l’ultima fidanzata di mio fratello, sono fondamentali. Questo per dire che, il film sì, è stato apprezzato, ma io sentivo personalmente di dover girare questa storia: arrivarci il più vicino possibile. Non pensavo di essere davanti la macchina da presa, ma sempre dietro. Mettere dentro una serie di frammenti di film precedenti era consono con tutto il racconto. Davanti alla macchina da presa non volevo difendermi, ho cercato di parlare in modo non razionale”.

La creazione di una Roma negli anni del ’78 e il finale di Buongiorno Notte con l’inizio di Esterno Notte, in qualche modo coincidono. Bellocchio: “Se in Buongiorno Notte, ad esempio, la passeggiata di Moro poteva essere uno dei momenti più commoventi del film, con Schubert in sottofondo, era come se corrispondesse ad un sentimento mio. Pensavo di rappresentare sia il dolore sia lo stupore per quest’uccisione. Sono due partenze diverse: Moro sperava di essere liberato, in fondo, lo aveva anche scritto in una lettera dove ringraziava le BR. Qualcuno glielo aveva detto e lui l’aveva scritto? Non si saprà mai. Volevano veramente liberarlo? Per quanto riguarda il girato, in parte, siamo riusciti a poter utilizzare l’esistente come Via Fani, Piazza del Gesù… Non è stato un lavoro facile”.

riprese di Lorenzo Levach, Emanuele Rossetti, Diego Drago e Maria Torluccio, montaggio di Lorenzo Levach e Emanuele Rossetti

Francesca Calvelli ricorda il 16 marzo 1978: “io ero a scuola ed erano tutti esaltati… Hanno chiuso la scuola e ci hanno mandato a casa. Ricordo molti elicotteri che giravano, pochissime macchine perché tutti erano davanti la televisione. Erano gli anni dell’ubriacatura militante, dove si sparava, quindi inizialmente per me non ha sorbito tutto questo spaesamento interiore”.
Si aggiunge Bellocchio: “il rapimento, che si sovrapponeva alla strage, mi stupì: com’è possibile? Mi ero ritirato dalla politica, erano gli anni in cui vi erano discorsi contro la violenza… Successivamente, si entrò dentro il dolore vero quando sapemmo che fu ucciso. La rabbia maggiore era verso lo Stato: impotente, che non ha fatto abbastanza per salvare Moro a tutti i costi. Il non sentire prima, il non capire prima… C‘è sempre un prima quando accadono queste atrocità. Non riconoscere la gravità estrema di un’angoscia”.

Oltre le lettere, in Marx può aspettare, sono fondamentali le foto. Calvelli: “per la presenza delle foto c’è stata una lavorazione lunga, graduale, ma è stata determinante. Hanno sostituito il corpo, soprattutto di Camillo. Non si voleva creare un documentario dove c’erano campi/controcampi. Le interviste erano senza il controcampo del regista, inizialmente. Si doveva entrate lentamente, per cui, le foto e gli spezzoni dei film hanno certamente aiutato la scansione del racconto”.
Bellocchio: “sono stati trovati casualmente delle videocamere Super 8, con girati dagli amici a Bobbio, come la liberazione di Piacenza per mano dei partigiani… La musica di Ezio Bosso, a cui noi ci rivolgemmo prima che lui morisse, è stata estremamente preziosa e coinvolgente. Io generalmente sono per la sintesi, ma questa certezza, per la mia sensibilità, ha bisogno di tempo”.

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